Ticino
“Misure non condivise non sono efficaci”
Foto © CdT/Gabriele Putzu
Foto © CdT/Gabriele Putzu
Marco Jäggli
3 anni fa
Il Presidente del Governo Norman Gobbi si esprime sulla possibilità di nuovi inasprimenti, come quello delle mascherine in pubblico: “Se la popolazione non supporta, difficile che segua il provvedimento”

Sabato mattina il Blick ha fatto trapelare quelle che sarebbero le misure proposte da Berset alla Conferenza dei direttori cantonali della sanità, tra le quali l’obbligo della mascherina all’aperto. Misure ipotetiche che, scrive lo stesso giornale d’Oltralpe, forse sono state usate come uno “spauracchio” per far agire direttamente i Cantoni. Al momento, non è dato sapere. Ad ogni modo, nell’eventualità di un’effettiva implementazione, Teleticino ha intervistato il Presidente del Consiglio di Stato Norman Gobbi, che è non si rivelato entusiasta per quanto proposto, soprattutto dal profilo dell’efficacia e dell’applicabilità.

Le misure elencate sono effettivamente in discussione? Sono accettabili per il Ticino?
“Non è la prima volta che leggiamo sui media d’Oltralpe, in particolare il Blick, le proposte del dipartimento di Berset, quindi è un po’ un modo di fare che non ci trova soddisfatti perché bisogna discuterne prima di renderle pubbliche, visto che non c’è ancora stata una decisione del Consiglio federale o dei Cantoni. Questo crea ulteriore insicurezza. Sono le conferenze dei direttori cantonali della salute ad essere coinvolti, quindi i Governi cantonali non possono prendere posizione ufficialmente, che è un problema. Abbiamo già richiesto più volte che fossero sentiti i Governi cantonali e non i singoli dipartimenti, perché poi non ne esce una posizione condivisa e dialogata all’interno dei singoli governi.

I cantoni della Svizzera centrale ora chiedono misure più severe, come quelli della Svizzera latina. Si va verso una stretta più severa?
“Rimarco che non sono i Governi cantonali ad aver preso posizione ma i direttori della sanità pubblica. Può sembrare una sottigliezza ma è centrale, perché non sono stati i governi a prendere posizione ma i singoli dipartimenti e capi dipartimento. Questo è un elemento problematico, perché dal punto di vista della sanità pubblica alcune decisioni, come la mascherina all’aperto, possono essere anche comprensibili. Dall’altra parte però con l’occhio del capo dipartimento di giustizia e polizia non c’è la capacità di imporre questa misura. Mi spiego: se nell’ambito della dissimulazione del volto c’è la possibilità di dare una multa a chi porta un velo, per esempio, con quest’ordinanza non c’è la possibilità di fare una multa diretta ma dev’essere aperta una procedura ordinaria che poi finisce sul tavolo del ministero pubblico, con un onere amministrativo non indifferente ma con anche una mancanza di efficacia. Questo è uno dei problemi ravvisati più volte. Anche in questa proposta, che presenta problemi anche per il cittadino: se mi trovo da solo in una strada o una piazza, magari di notte, perché dovrei mettere la mascherina? Le misure per essere efficaci devono essere supportate e sopportate dalla popolazione. L’autorità può imporre tutte le misure che vuole ma se non sono supportate dalla popolazione saranno poco efficaci nell’obiettivo”.

Ci sta quindi facendo capire che forse l’asticella è stata messa forse un po’ in alto, anche se sembra forse che con le misure attuali il virus continui a circolare?
“Per valutare l’efficacia delle misure ci vogliono almeno 13-14 giorni, che è la regola imparata già in primavera. Le ultime misure non hanno quindi ancora dato il loro effetto. Molte misure proposte, come l’obbligo di consumare seduti in bar e ristoranti o il limite alle discoteche, sono già una realtà in Ticino. Ci sono situazioni che però non sono affrontate, come quelle del trasporto pubblico dove le persone toccano superfici toccate da molte persone. È una di quelle situazioni dove c’è più controllo rispetto per esempio a una partita di calcio o hockey, dove non ci sono mai stati problemi. Arrivare a giocare a porte chiuse, come proposto, non deriva da un rapporto causa-effetto: non abbiamo mai visto qualcuno che si è infettato andando per esempio alla Valascia o alla Corner Arena. In altri luoghi è successo ma non si interviene”.

Paesi a noi limitrofi hanno introdotto da diverso tempo molte delle misure elencate. Perché molti paesi possono permettersi queste misure e noi facciamo fatica a fare un giro di vite?
“Perché abbiamo un’altra concezione di Stato. Il coprifuoco alla francese o all’italiana, dove nessuno può girare al di là di motivi validi, da noi sarebbe mal sopportato per una questione culturale. Qui manca forse un richiamo fermo alla responsabilità. Se noi vietiamo alla gente di andare allo stadio o al ristorante ma resta a casa, e nelle occasioni private ne combina di peggio perché non c’è l’occhio delle autorità o dei vicini di tavolo, comunque non si fermerà la diffusione del virus. Questo è l’aspetto centrale: continuare a richiamare la responsabilità di ogni cittadino, che rende efficace le misure”.

In molti cantoni si è deciso di limitare il numero massimo di persone per gli eventi privati, da lei citati come un luogo di contagio. In Ticino questo numero però rimane più alto.
“L’obiettivo è proprio quello di far capire alle persone che è meglio non organizzare una grande festa di famiglia con la nonna ma di organizzarla in maniera più discreta o di attendere per ridurre il rischio. Abbiamo già visto questa primavera le reazioni stizzite della popolazione agli appelli di evitare le feste di famiglia sotto Pasqua. Quindi se le misure non vengono supportate e sopportate dalla popolazione le misure diventano inefficaci. Non vedo facile controllare tutti gli appartamenti di Ginevra, per esempio, per verificare se le persone sono solo in cinque a fare una festa di compleanno o sono di più. Se io non posso controllare e sanzionare diventa difficile essere efficaci ma anche essere credibili come autorità”.

Sappiamo che ci sono sensibilità diverse e anche misure diverse tra cantoni, che creano un vero e proprio “mosaico” a livello svizzero. Secondo lei è necessaria un’armonizzazione di queste misure? E in secondo luogo, se le misure elencate dovessero entrare in vigore, a livello economico ci sarebbero delle ripercussioni?
“Pensando al limite di 15 persone per eventi privati, Ginevra potrebbe continuare a mantenere il suo limite di 5 per via del principio di autonomia che consente ai Cantoni di restringere ulteriormente le misure rispetto a quanto fissato. Quindi anche qui non avremmo uniformità. Se penso alla ristorazione, è un elemento che mi preoccupa: mettere il coprifuoco alle 22 vuol dire andare a cena alle 18, e chi lavora fino alle 20 non ha neanche il tempo di mangiare un panino e bere una birra. Penso sia un elemento problematico, già ci sono meno persone nei locali per via del telelavoro, quindi se non ci fossero aiuti mirati, e penso anche allo sport, diventa difficile e poco sostenibile condividere queste misure”.

Il Presidente della Lombardia, Attilio Fontana, ha detto che sarebbe auspicabile una collaborazione transfrontaliera per una collaborazione più efficace. Lei pensa sarebbe fattibile?
“Se Berna prende una decisione difficilmente parlerà con Roma, a meno che questa impatterà sulle attività di confine e i famosi movimenti internazionali. Lo abbiamo già visto questa primavera e tra il 7 e l’8 marzo l’Italia ha deciso unilaterlamente di chiudere le frontiere, senza coordinarsi. Io penso che coordinarsi sia molto importante, sento regolarmente Massimo Sertori, delegato per la giunta lombarda ai rapporti con Ticino e Confederazione, dal punto di vista operativo invece valutiamo sempre i dati delle provincie di confine. Varese ad esempio ha avuto un’evoluzione molto simile a quella del Ticino, specie per il ritorno a una vita più all’interno e meno all’esterno, con l’autunno. Condivido la sensibilità di Fontana sul fatto che in estate ci siamo rilassati un po’ tutti ma ora è necessario tornare ad applicare i comportamenti che conosciamo: rispettare le distanze, disinfettarsi e portare la mascherina”.

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