
Dare una spinta al cinema svizzero, incrementando la produzione nostrana di film e serie tv. È l’obiettivo che inseguono i promotori della cosiddetta “Lex Netflix” in votazione a livello nazionale il prossimo 15 maggio. Di cosa si tratta? Di una modifica che prevede di estendere anche ai servizi di streaming l’obbligo, già in vigore per le emittenti televisive svizzere, di investire il 4% della propria cifra d’affari realizzata in Svizzera nella creazione cinematografica nazionale. Secondo le stime, con l’estensione dell’obbligo d’investimento, la creazione cinematografica svizzera “beneficerebbe ogni anno di 18 milioni di franchi in più”. I servizi di streaming potranno partecipare direttamente alla produzione di film e serie svizzeri, oppure versare una tassa a favore della promozione del cinema elvetico. Inoltre dovranno destinare il 30% del loro catalogo a film e serie prodotti in Europa.
“La casa di carta” elvetica?
Questo significa che un domani, in caso di “sì” alle urne, potremmo assistere a una versione nostrana de “La casa di carta”? Magari con criminali che indossano maschere di Guglielmo Tell e danno l’assalto alla sede della Banca Nazionale? Una “Haus aus Papier?” È difficile dare una risposta certa, ma se guardiamo alle cifre, per la realizzazione della prima stagione della fortunata serie spagnola si parla di un budget fra i 3 e i 3,3 milioni di dollari, l’equivalente di circa 3,26 milioni di franchi. Una somma quindi tutt’altro che irraggiungibile, anche se non è ancora dato sapere come verranno divise le eventuali entrate derivanti dai servizi di streaming.
La situazione negli altri paesi
Ma come funziona nel resto dell’Europa? In Germania le piattaforme streaming devono investire tra l’1,8% e il 2,5% dei propri introiti, ma solo se questi superano il mezzo milione di euro. La percentuale in Francia varia invece dal 12% al 25%, mentre in Italia siamo sul 20%. Più moderata la Spagna che chiede il 5%, seguita dal 4% della Croazia.
Esito incerto
Secondo il terzo sondaggio Tamedia, c'è stato un lieve aumento dei “sì”, che però rientra nel quadro delle incertezze statistiche. La situazione attuale dice 52% di “sì“,45% di “no” e 3% di indecisi. Opposizioni si registrano in particolare fra i simpatizzanti di Udc e Plr, mentre il testo continua a essere amato in Ticino e Romandia, così come nelle città e fra la popolazione più anziana. I favorevoli evocano in particolare il fatto che ad oggi gli incassi dei grandi servizi streaming finiscono all'estero: una parte di questo denaro dovrebbe invece essere investito in Svizzera. Gli oppositori sottolineano dal canto loro che già ora il cinema svizzero viene sostenuto con circa 105 milioni di franchi, e che non serve una nuova tassa nascosta per la cultura.
Per i favorevoli il “sì” aprirà una finestra sul mercato internazionale
Il Consiglio federale e il Parlamento sono favorevoli alla modifica della legge. Secondo loro eliminerebbe infatti le disparità di trattamento tra emittenti televisive e servizi di streaming, rafforzerebbe la creazione cinematografica nazionale e contribuirebbe alla diversità culturale. Anche l’Associazione svizzera regia e sceneggiatura di film (Arf/Fds) si è dichiarata a favore, dal momento che le piattaforme di streaming internazionali e le emittenti televisive straniere “ottengono ingenti guadagni in Svizzera e tutto questo reddito finisce all’estero”. La nuova legge sul cinema assicura “che anche le aziende internazionali investano nell'economia nazionale”. Questa misura inoltre “mette la Svizzera su un piano di parità con i Paesi vicini, con reali opportunità di mercato a livello internazionale”. Infine, la Svizzera italiana “potrà beneficiare di una maggiore promozione della propria cultura anche a livello internazionale”.

I contrari temono un aumento dei costi degli abbonamenti
Contro questa modifica di legge è stato chiesto il referendum. Il 20 gennaio il comitato referendario, composto dalle sezioni giovanili di Udc, Plr e Verdi liberali, ha consegnato alla Cancelleria federale le firme necessarie. Il comitato ritiene ingiusto obbligare i servizi di streaming a proporre il 30% di film europei. “L’offerta di film proveniente da tutto il mondo”, rimarca, “rimarrebbe infatti tagliata fuori”. È inoltre convinto che l’obbligo di investimento imposto ai servizi di streaming provocherà un aumento delle tariffe di abbonamento. Il fatto che le piattaforme di streaming, come Netflix o Disney, debbano investire il 4% del loro reddito lordo generato in Svizzera nella produzione di film elvetici indipendenti “è una truffa nei confronti dei consumatori, una rottura dei principi dell’economia liberale e un ulteriore inchino nei confronti dell’Ue”.
L’opuscolo della discordia
L’11 aprile il comitato referendario ha inoltre presentato un reclamo in quattro cantoni contro l'opuscolo informativo del Consiglio federale, accusando il Governo di aver fornito informazioni errate nella brochure distribuita alla popolazione. Secondo i critici, le spiegazioni inserite nel documento erano infatti incomprensibili, contraddittorie e sbagliate. La Cancelleria federale si è difesa dalle accuse, ma ha comunque provveduto a pubblicare sui propri portali delle precisazioni.
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