Svizzera
Lex Netflix, “l’opuscolo informativo contiene degli errori”
Immagine Shutterstock
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Keystone-ats
2 anni fa
A sostenerlo è il comitato referendario che si oppone alla modifica della legge sul cinema. Il reclamo è stato inviato ieri a quattro governi cantonali

Il comitato referendario che si oppone alla modifica della legge sul cinema, in votazione il prossimo 15 maggio, ha presentato un reclamo in quattro cantoni contro l'opuscolo informativo del Consiglio federale. Il governo è accusato di aver fornito informazioni errate nella brochure distribuita alla popolazione. Sollecitato oggi da Keystone-Ats, il presidente dei Giovani liberali-radicali Matthias Müller, alla testa del comitato, ha dichiarato che il reclamo è stato inviato ieri a quattro governi cantonali. Tuttavia, trattandosi di una vicenda federale, essi non possono entrare in materia. Della questione si occuperà dunque il Tribunale federale (Tf).

Informazioni “sbagliate” e “contraddittorie”
Secondo i critici della cosiddetta Lex Netflix, le spiegazioni inserite nell'opuscolo di voto sono incomprensibili, contraddittorie e sbagliate. A loro avviso, il Consiglio federale non ha adempiuto al suo dovere di informare in maniera fattuale, oggettiva e corretta e ha persino soppresso elementi importanti, impedendo ai votanti di orientarsi sul vero e proprio obiettivo dell'oggetto e sulla sua portata.

Cartina incriminata
In particolare, nel mirino vi è una cartina a pagina 13, in cui sono rappresentate le nazioni europee che hanno introdotto un obbligo di investimento o tasse per i servizi di streaming. La redazione della trasmissione della televisione svizzerotedesca SRF “Arena” ha analizzato questa mappa, che si basa su un rapporto del 2019 dell’Osservatorio europeo dell’audiovisivo (Oea). Stando alle ricerche dei giornalisti, tale documento fa distinzione fra “Mandatory Investment” (”investimento obbligatorio”) e “General Obligation” (”obbligo generale”). Il primo corrisponde appunto a un obbligo di investimento finanziario o di tariffa da sborsare, mentre il secondo alla promozione mirata di opere europee e al loro accesso. Queste due forme di tassa non possono essere messe nello stesso calderone, conclude “Arena”.

“Frase fuorviante”
Questo però è esattamente quanto è stato fatto con la cartina incriminata presente nell'opuscolo. Inoltre, un esame più approfondito ha mostrato che in Svezia, contrariamente a quello che la mappa evidenzia, non esiste più alcun obbligo di investimento e la stessa cosa vale per i Paesi Bassi. Gli oppositori ritengono quindi falsa o perlomeno fuorviante la frase del libretto rosso secondo cui in gran parte dei Paesi vicini esiste un obbligo di investimento o di contributo. Essa peraltro contraddirebbe diametralmente le informazioni precedenti del governo e dell'Ufficio federale della cultura (Ufc). Se le correzioni necessarie non verranno apportate prima dello scrutinio del 15 maggio, il risultato della votazione dovrà essere annullato, rivendica Müller.

La Cancelleria si difende
La Cancelleria federale ha replicato alle accuse affermando che nell'opuscolo, per restare leggibili, le informazioni del rapporto dell'Oea sono state semplificate. Tra gli Stati dove c'è un obbligo di investimento sono stati contati anche quelli dove le piattaforme di streaming sono sottomesse a un obbligo simile “formulato in maniera generale”, fanno sapere da Berna. D’altronde, non sono disponibili cifre più recenti di quelle del 2019. Ma, puntualizza la Cancelleria difendendo la propria presentazione, la tendenza nel Vecchio Continente va verso un rafforzamento dell'obbligo di investimento a carico dei fornitori di streaming.

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