
“Il silenzio paga. Penso che sia una strategia per annientare l’esistenza di queste persone e per impedire alla società di aprire gli occhi e capire cosa sta accadendo”. In altre parole, “se non se ne parla, si può fare quello che si vuole”. Immacolata Iglio Rezzonico, avvocata specializzata nel diritto della Migrazione, ci descrive così il comportamento delle autorità rossocrociate sia in merito alle domande d’asilo, sia per quanto riguarda i recenti fatti di cronaca, con i decessi di due giovani migranti. La critica sta nel fatto che “non viene assolutamente visto il lato umano di queste persone, che anche durante le procedure, vengono identificate unicamente con e come dei numeri”.
“Esseri umani di serie A e subumani”
Da tempo Iglio Rezzonico denuncia questo tipo di comportamenti e lo fa, ci ricorda, anche durante le audizioni con la Sem, la Segreteria di Stato della migrazione e nei propri atti di causa. “C’è una disumanizzazione, una categorizzazione di esseri umani di serie A e neanche di serie B, ma di subumani”. Questo perché troppo spesso i richiedenti l’asilo “non vengono considerati”. Di fatto “la Sem e il Tribunale amministrativo federale dicono che ci sono una serie di programmi per aiutare queste persone”, e ce lo ha confermato anche la Sem, dicendoci che “per i richiedenti l’asilo ospitati nei Centri federali d’asilo sono in essere delle collaborazioni con la psichiatria, la psichiatria infantile e la psicologia, nonché il servizio infermieristico e dei medici generalisti”. Ma per l’esperta “si tratta di aiuti spesso limitati a delle parole scritte sulla carta e quando realmente esistenti, ideati rispettando il numero e non la persona”.
“Mi stai mentendo, puoi tornare nel tuo Paese”
A confermare questa tesi ci sarebbe “il semplice fatto che nella maggior parte dei Centri federali d’asilo non esista un approccio dal punto di vista psicologico per permettere a queste persone, che spesso portano con sé vissuti terribili sia dal proprio paese d’origine, sia a causa del viaggio intrapreso per cercare una vita migliore, di chiedere un sostegno psicologico per affrontare la procedura d’asilo”. Difatti, ci racconta, “durante le audizioni ci sono persone che hanno una grande difficoltà a raccontarsi, perché non hanno ancora elaborato quanto hanno vissuto”. E qui la Segreteria di Stato della migrazione “dice loro che stanno mentendo, che le informazioni non sono verosimili e che possono tornare in Iran, Iraq, Afghanistan, Siria ad esempio”. Paesi “che non sono davvero sicuri e tranquilli”.
Un silenzio assordante
La sensazione è quindi quella che le autorità non vogliano parlare o rendere note determinate difficoltà vissute da queste persone. Spesso, difatti, quando vengono interpellate dalla stampa ci rispondono con un “per motivi di protezione dei dati e della personalità, la Sem non fornisce informazioni sui singoli casi”, come avvenuto per Aziz, il giovane trovato morto poco distante dal Centro di Pasture la sera del 31 marzo nel riale Raggio. “Penso che quella del silenzio sia una strategia che punti a disumanizzare l’esistenza di queste persone”, continua l’avvocata. Così facendo, “l’unico momento in cui si parla di queste persone è quando si fanno determinati proclami, dove spesso viene usata un’accezione negativa, oppure quando si parla dei rimpatri”. E il silenzio “aiuta proprio a portare avanti questo tipo di narrazione” perché “in altri casi, come per i due recenti suicidi, cercano solo di affossare il tutto e non portare alla luce il lato umano delle storie di queste persone”.
"La Svizzera non vuole essere attrattiva dal punto di vista dell’asilo"
Un silenzio adottato dalle autorità che rappresenta “una strategia che ha l’obiettivo di non rendere la Svizzera attrattiva dal punto di vista dell’asilo e in particolare per le richieste delle persone che non vengono considerate adatte ad entrare in questo Paese”. Insomma, aggiunge, “non sono i ricchi, perché questi, anche se arrivano da Paesi terzi, hanno tutta una serie di agevolazioni”.
“Serve un’accoglienza diversa”
A mancare, all’interno del sistema rossocrociato, “sono le persone realmente formate all’accoglienza, consapevoli di cosa significhi comunicare con un essere umano che ha subìto un trauma”. Da noi “ci sono gli interpreti, ma mancano i mediatori culturali che possono fare da ponte tra la nostra cultura e quella di chi chiede asilo”. A questo si aggiunge il fatto che la procedura d’asilo “procede con un ritmo incessante, perché tutto l’iter deve concludersi in 140 giorni (il tempo massimo entro cui la Sem decide se accogliere o respingere una domanda d’asilo ndr)”. Insomma, conclude Immacolata Iglio Rezzonico, “manca una vera volontà di avere una società inclusiva nei confronti di queste persone. Ma se vogliamo un Paese poco attrattivo per i richiedenti l’asilo, si fa così”. Almeno, ci confida, “questa è la risposta che mi sono data. Ed è veramente brutto per me dire una cosa del genere, del mio paese che dovrebbe essere portatore di valori e diritti umani”.