
Prima il pestaggio alla pensilina di Lugano la notte del primo agosto, poi le due risse avvenute, sempre a Lugano, durante lo spettacolo pirotecnico del 2 agosto. Quello appena trascorso è stato purtroppo un fine settimana segnato da episodi di violenza. Singoli episodi che mostrano la presenza di un disagio giovanile nella nostra società. Ticinonews ne ha parlato con Ilario Lodi, direttore Pro Juventute Svizzera Italiana.
Cosa sta succedendo di diverso rispetto al passato? I casi di cronaca con protagonisti giovanissimi si sono moltiplicati.
"La percezione è questa. Qualcosa è cambiato, e non da ieri. Ha preso avvio già da parecchio tempo, ma negli ultimi anni si è manifestato in modo evidente. Io credo che le questioni siano molto complesse, più di quanto normalmente crediamo. La serie di interventi che dobbiamo mettere in essere deve quindi andare ben al di là di qualche sporadica iniziativa".
È sbagliato fare di tutta l’erba un fascio, ma quello che forse emerge è che rispetto al passato, giovani e giovanissimi hanno meno rispetto e timore degli adulti e dell’autorità in generale.
"I giovani rappresentano una cartina di tornasole fenomenale della contemporaneità e apprendono molto più facilmente e velocemente di quanto crediamo. Io credo quindi che i ragazzi abbiano appreso da noi adulti ciò che oggi realizzano, pensano e fanno. Noi 'grandi' non dobbiamo dunque chiamarci fuori da questo tipo di responsabilità; spetta soprattutto a noi interrogarci sul tipo di realtà che offriamo ai giovani, perché loro la sanno interpretare molto bene così come noi gliela stiamo offrendo, nulla di più".
Possibili soluzioni per invertire questa pericolosa tendenza?
"Le soluzioni potrebbero essere moltissime. Ho sentito parlare di inasprimento delle pene o comunque della questione giudiziaria. Potrebbe anche starci sotto molti aspetti, ma io credo che la carta da giocare sia quella dell'educazione: dobbiamo rimettere i ragazzi nelle condizioni di poter vivere insieme, di ritornare ad apprezzare la relazione con l'altro, perché se noi quotidianamente parliamo loro in termini di competitività e di competenza, ecco che loro impersonificano questi concetti anche al di fuori dei contesti ai quali noi facciamo riferimento. È facile ergersi a superiore agli altri in qualsiasi occasione, se questo è l'unico metro di paragone che io so utilizzare perché l'ho appreso dal mondo degli adulti. Farei quindi molta attenzione a imputare delle responsabilità soltanto ai giovani. Effettuerei invece un esame autocritico, molto serio e profondo".
Si sente spesso dire che sono cambiati i giovani. Faccio un passo ulteriore: non sono forse cambiati molto di più i genitori di oggi, rispetto a quelli di qualche tempo fa?
"Sono cambiati sicuramente molto i genitori perché è cambiato il contesto in cui oggi allevano i propri figli. È un mondo che non è né fatto né tagliato per le famiglie, come poteva esserlo fino a 3-4 decenni fa. E questa responsabilità spetta a tutti: ai settori del lavoro, della formazione e dell'educazione. Lo voglio ripetere: bisogna investire massicciamente nell'educazione dei bambini e dei giovani attraverso tutta una serie di iniziative, le quali possono partire dalla scuola, ma non devono dimenticare l'ambito della formazione professionale e di tutto ciò che sta al di fuori di questi contesti. Dobbiamo pensare a rimettere i ragazzi nella condizione di sperimentarsi in relazione con gli altri in termini virtuosi, e non devastanti come quelli a cui stiamo assistendo negli ultimi giorni".
Ma loro, in primis, lo vogliono questo ritorno al centro?
"Direi di sì, perché i giovani fondamentalmente si manifestano in questo modo celando una sofferenza che è comunque presente. Ed è una sofferenza data da un mondo con il quale non riescono più a relazionarsi perché non è fatto per loro. Noi dobbiamo ricalibrare le nostre esigenze, nei confronti prima di tutto di noi stessi, ma anche verso i bambini e i ragazzi, per fare in modo che questi possano crescere in un contesto sicuro, che si prenda cura di loro e non li consideri prevalentemente come dei consumatori o come forza lavoro".
Tocco uno dei temi che va per la maggiore e che tra poco, con l'inizio dell'anno scolastico, tornerà d'attualità: l'utilizzo degli smartphone. Si dice spesso di questo uso intensivo da parte dei giovani a scapito della socializzazione. Una ferita che si fa fatica a chiudere, verrebbe da dire...
"È un problema molto importante. Ne parleremo, credo
anche diffusamente, in Ticino nei prossimi mesi. Lo smartphone di per sé non è un
problema, ma la sua utilizzazione lo può diventare. Occorre insegnare ai ragazzi come usare correttamente o più agilmente tale strumento. E questo non lo si può fare se non utilizzando quello smartphone e facendo
riferimento anche a tutta una serie di elementi quali il tema della relazione, dell'amicizia,
del contesto di vita in cui si vive, della presa o dell’aver cura delle persone
che mi stanno di fronte, le quali fondamentalmente trascendono anche dagli
smartphone. È un discorso che va fatto quindi a 360 gradi, ma siamo prontissimi a farlo".
L'intervista completa a Ilario Lodi a Ticinonews: