
Il Ministero pubblico ha aperto un procedimento penale nei confronti di Fiorenzo Dadò, legato alla asserita lettera anonima ricevuta del presidente del Centro e riguardante la vicenda nota come “caos al Tpc”. I riflettori sono puntati sulla ricezione, nel settembre 2024, da parte dello stesso granconsigliere, di "una missiva priva di mittente con allegata documentazione fotografica", in seguito da lui stesso condivisa in seno alla Commissione giustizia e diritti, di cui era presidente. Le ipotesi di reato sono di falsa testimonianza e denuncia mendace. Ma di cosa si parla? Andiamo con ordine.
La lettera
Il 16 settembre 2024 Fiorenzo Dadò, presidente della Commissione giustizia e diritti, ha informato la stessa Commissione di aver ricevuto una missiva priva di mittente con allegata una documentazione riguardante la situazione venutasi a creare al Tribunale penale cantonale. Il materiale in questione è stato trasmesso al Consiglio della magistratura e a Franco Passini, procuratore straordinario nominato dal Consiglio di Stato per le verifiche del caso. La lettera, nel dettaglio, conteneva altre tre foto inviate dal presidente Mauro Ermani alla segretaria presunta vittima di mobbing. In questo caso si tratterebbe di immagini prese da internet che ritraggono bambini. Apparentemente, nulla di pedopornografico. Contenuti che sarebbero stati trasmessi via Whatsapp alla donna nel 2020 e quindi ben prima dell'immagine che tanto ha fatto discutere e per la quale il procuratore straordinario Passini ha emesso un decreto di non luogo a procedere, ovvero quella che ritrae una donna seduta in mezzo a due peni giganti di plastica con la scritta "Ufficio penale".
"Ho ritenuto giusto mostrarle"
Immagini che Dadò ha condiviso con la Commissione. “Ho ritenuto giusto mostrarle ai colleghi, per capire quale fosse il loro pensiero. E devo dire che da parte loro c’è stato un momento di sconforto nel vedere foto di questo genere che circolano”, aveva spiegato ai nostri microfoni lo stesso 16 settembre. La Commissione ha poi valutato “di doverle segnalare a chi di dovere. Spetterà al Consiglio della magistratura e al procuratore straordinario fare le proprie valutazioni e ritenere se queste fotografie siano o meno degne di essere tenute in considerazione ai fini di quanto sta avvenendo”, aveva aggiunto.
Tra ammissioni e contestazioni
Come detto, sono due i reati ipotizzati nei confronti di Dadò: falsa testimonianza e denuncia mendace. Sul primo il presidente cantonale del Centro, sempre il 16 settembre dello scorso anno, spiegava a Ticinonews che "le foto sono in forma anonima". In realtà, come ha ammesso alle autorità inquirenti, conosceva l’identità della fonte della segnalazione a lui pervenuta, ma aveva deciso di omettere la verità per salvaguardarne l'anonimato. Viene invece “fermamente contestata” - cita una nota stampa del suo avvocato Carlo Borradori - la seconda ipotesi di reato, quella di denuncia mendace, che si fonderebbe sulla trasmissione della segnalazione alla Commissione giustizia e diritti del Gran Consiglio la quale, a sua volta, ha trasmesso la documentazione ricevuta al Consiglio della Magistratura e all’allora Procuratore straordinario Franco Passini.
Cosa dice la legge
Secondo il Ministero pubblico, ora si potrebbe profilare l'applicazione dell'articolo 303 del Codice penale svizzero, il quale indica come punibile chiunque denunci all’autorità come colpevole di un crimine una persona che egli sa innocente, per provocare contro di essa un procedimento penale. Spetterà ora all'inchiesta chiarire se l'articolo è effettivamente applicabile oppure no.
La vicenda “Caos al Tpc”
Tutto è partito l'aprile dello scorso anno da un presunto caso di mobbing subìto da una segretaria del Tribunale penale cantonale, da parte di una collega. La questione è stata segnalata al Tribunale d’appello da Siro Quadri e Francesca Verda Chiocchetti, che hanno anche riferito di un difficile ambiente lavorativo riconducibile al presidente Mauro Ermani e ai colleghi Marco Villa e Amos Pagnamenta. L’incarto è finito alla Sezione risorse umane del Cantone, sfociando in una segnalazione a carico di Ermani al Consiglio della Magistratura (il Governo ha poi dato mandato all’avvocato Maria Galliani di condurre gli accertamenti sul caso di mobbing, che non è stato ravvisato dalla Commissione amministrativa del Tribunale d'appello sulla base degli accertamenti svolti da Galliani). Ermani, Villa e Pagnamenta avevano a loro volta segnalato Quadri e Verda Chiocchetti, i quali avevano denunciato i tre colleghi per diffamazione e segnalato Ermani per pornografia per l’invio, nel 2023, di una foto che ritrae una donna seduta in mezzo a due peni giganti di plastica con la scritta "Ufficio penale" alla segretaria presunta vittima di mobbing. Un'immagine che per il procuratore pubblico straordinario Franco Passini, nominato dal Consiglio di Stato per far luce sulla vicenda, non costituisce il reato di pornografia, motivo per cui ha emesso un decreto di non luogo a procedere. Anche sui reati per diffamazione il pp straordinario è giunto alla conclusione che non sussistono i presupposti dei reati ipotizzati, emanando un decreto di non luogo a procedere. Per il Consiglio della Magistratura Quadri e Verda Chiocchetti sapevano che l'immagine non costituiva il reato di pornografia e hanno quindi gravemente violato i loro doveri di magistrato. Da qui la decisione di destituirli, confermata dai giudici del Tribunale federale dopo aver respinto il ricorso dei due ormai ex giudici.
