Ticino
Sventata strage, riprende il dibattimento
Si è aperto questa mattina il processo a carico dell’ex allievo che nel 2018 pianificò un atto di violenza di massa. Il giovane - accusato di tentato omicidio plurimo - nega ogni addebito

Camicia bianca e giacca elegante. Una postura raccolta. Le mani sul grembo. Di fronte ad un’aula gremita si è aperto questa mattina il processo a Palazzo dei Congressi di Lugano a carico del giovane allievo della commercio di Bellinzona che nel 2018 venne arrestato poiché sospettato di voler commettere una strage. All’epoca dei fatti l’imputato aveva 19 anni. Frequentava il terzo anno e a scuola erano iniziati gli esami di fine anno. Era il 10 maggio 2018 quando la polizia e il Ministero pubblico comunicavano in poche righe di aver sventato una strage in una scuola del Cantone. “Un giovane ha minacciato di togliere la vita ad un non meglio precisato numero di persone di un istituto scolastico del Cantone”. Poche righe che fecero rabbrividire l’intero Cantone.

24 ore di intelligence
Gli accertamenti degli inquirenti erano partiti il giorno prima, il 9 maggio, quando poco dopo mezzogiorno alcuni alunni dell’istituto scolastico segnalarono in direzione i propositi violenti condivisi dal ragazzo via social. I vertici della scuola segnalarono la vicenda in polizia. Il ragazzo fu immediatamente messo sotto sorveglianza. Gli esperti della polizia cantonale avviarono un’intensa attività di intelligence, scandagliando la vita del giovane 19enne. Al Gruppo cantonale gestione persone violente spettò il compito di valutare, in poco tempo, se effettivamente ci fosse una minaccia pendente. Il giorno seguente, la mattina del 10 maggio, il giovane venne arrestato a casa sua. Nel pomeriggio, la magistratura comunicò ai media l’avvenuto arresto. La polizia aveva sventato una strage.

Sarebbe andato fino in fondo?
La notizia scosse l’intero Cantone, a cominciare dagli alunni dell’istituto, dai compagni di classe e dai professori che fino a quel momento avevano condiviso con il 19enne un percorso scolastico che nulla faceva presagire un epilogo simile. A casa del ragazzo gli inquirenti trovarono diverse armi e munizioni, comprate nei giorni precedenti in un negozio della capitale. E poi c’era quella foto, postata sul suo profilo Facebook. Camicia bianca, cravatta nera e fucile d’assalto Kalashnikov poggiato sulla spalla. Un’immagine di violenza quasi innocua nella sua stereotipata posa di giovane che guarda nell’obiettivo. Eppure secondo l’accusa quel giovane voleva compiere una strage. L’attacco era stato pianificato per il 15 maggio, durante la sessione degli esami. Sarebbe andato fino in fondo? Che valore e peso attribuire alle sue parole postate sui social? Gli interrogativi cui la Corte delle Assise criminali - presieduta dal giudice Mauro Ermani affiancato dai colleghi Aurelio Facchi e Manuel Borla - dovrà dare risposta sono tanti. Difficili e pesanti. Il giovane 19enne, difeso dall’avvocato Luigi Mattei, rischia una pena superiore ai 5 anni di carcere. Secondo l’accusa pubblica, sostenuta dal procuratore pubblico capo Arturo Garzoni il giovane deve rispondere del reato di atti preparatori punibili di assassinio plurimo, subordinatamente di atti preparatori punibili di omicidio plurimo. Lui, il 19enne, continua a negare ogni addebito.

La perizia psichiatrica
Perché una strage? A lungo gli inquirenti hanno cercato un movente, tra le pieghe del diario ritrovato nel suo appartamento, così come sul profilo social dove il giovane condivideva pubblicamente alcuni suoi orientamenti politici ed esistenziali. Perché una strage? La perizia psichiatrica su questo punto qualcosa ha detto. A spingerlo nei suoi propositi sarebbe stato l’odio che provava verso se stesso. Vien da chiedersi, tuttavia, se davvero serva un movente solido per un atto così irrazionale e distruttivo. Ad ogni modo, la perizia psichiatrica giudiziaria ha ravvisato una scemata imputabilità di grado medio. Il referto consegnato alle parti verso la fine del 2018 indica che l’agire del giovane è stato pesantemente condizionato da un disturbo.

Al di là della pena, la Corte dovrà sopratutto pronunciarsi sulla presa a carico del giovane, oggi tutt’ora ricoverato in una struttura specializzata oltre San Gottardo. Non a caso, il tribunale ha disposto un aggiornamento del suo stato di salute. Il nuovo rapporto verrà reso pubblico durante il processo.

Nel rispetto del distanziamento sociale
Per ragioni di sicurezza legate al distanziamento sociale il processo si tiene al Palazzo dei congressi di Lugano. All’entrata dell’aula è stato posto un dispositivo di sicurezza. Oltre al Metal detector la Polizia ha misurato la temperatura prendendo nota dell’identità di ogni singolo presente, tra questi anche diversi compagni di classe.

Dibattimento interrotto e poi ripreso
Il dibattimento si è subito fermato per consentire alla Camera di consiglio di sciogliere una questione procedurale sollevata dalla difesa, l’avvocato Luigi Mattei. Quando l’allora procuratore pubblico Antonio Perugni firmò l’atto d’accusa, in quel frangente venne firmato anche un decreto d’abbandono per il reato di minacce ventilato nelle prime ore dopo l’arresto. Una decisione che ora crea qualche inghippo procedurale nella misura in cui l’imputato non può essere giudicato per i medesimi fatti con altri capi d’imputazione. Caduto il capo d’imputazione di minacce, ora la Corte deve decidere se l’imputato può esser giudicato sui medesimi fatti con altri capi d’accusa. Teoricamente, per legge, non si può. “Lui per primo vuole essere giudicato”, ha esordito la difesa sollevando la questione e rimettendo alla Corte la decisione. “Il ragazzo ha bisogno di un giudizio”. Infine la Corte ha deciso di procedere.

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