
Prima l’annuncio di un possibile licenziamento collettivo, poi quello relativo a una riduzione di salario. Dal mese di maggio di quest'anno l’azienda Alcar Ruote di Manno è finita diverse volte sotto la lente di sindacati e partiti politici a causa delle sue procedure di licenziamento collettivo, motivate – nel mese di maggio – dal perdurare della crisi del settore automobilistico e la conseguente perdita di fatturato. Procedure, tuttavia, mai andate in porto per il semplice fatto che “la ditta non ha mai avuto intenzione di procedere ad un licenziamento collettivo. Come correttamente segnalato dal sindacato Unia, l’annuncio della procedura di licenziamento collettivo aveva quale unico scopo di mettere pressione sul personale e riuscire ad imporre delle riduzioni di salario al personale”, sottolineano Giuseppe Sergi e Matteo Pronzini (MPS) in un’interrogazione inoltrata al Consiglio di Stato in merito a tutta questa faccenda.
Fine consultazione a giugno
Una pressione che ha trovato terreno fertile lo scorso 13 giugno, quando si è conclusa la fase di consultazione, seguita da un comunicato stampa aziendale che informava infatti che “le parti hanno lavorato e collaborato in modo serrato ma costruttivo al fine di raggiungere un accordo condiviso che potesse garantire la necessaria stabilità economico-finanziaria atta a salvaguardare tutti i posti di lavoro. L’accordo raggiunto è stato sottoposto per la sua approvazione all’assemblea del personale che con una maggioranza vicina all’85% lo ha ratificato”. L’elemento fondamentale di questo accordo consiste “in una riduzione dei salari effettivi del 7% e un trattamento salariale differenziato in base al criterio di residenza”, spiegano i firmatari dell'interrogazione, sottolineando come tuttavia questa riduzione “non sia stata comunicata pubblicamente nonostante sia l’elemento fondamentale di questo accordo”. In questo senso, il partito sostiene che “tale accordo, fatto nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo, doveva però essere inviato all’Ufficio cantonale del lavoro sulla base del contenuto dell’articolo 335 g del CO. E, di conseguenza, l’Ufficio cantonale del lavoro ha dovuto forzatamente prendere conoscenza del contenuto di tale accordo abusivo ed illegale. A sostegno di queste nostre affermazioni attiriamo l’attenzione sulla votazione dell’assemblea che, secondo quanto indicato dalla ditta, ha approvato con una maggioranza vicino al 85% l’accordo”.
L’interrogazione
Come noto, la retribuzione di un dipendente, nel rispetto dei salari minimi contrattuali o legali, è frutto di una contrattazione individuale tra datore di lavoro e dipendente “e non può essere imposta da una decisione assembleare. È un principio base che Christian Vitta, direttore del DFE, Stefano Rizzi, direttore della Divisione Economia, e Claudia Sassi, responsabile dell’Ufficio del Lavoro, dovrebbero conoscere”. Alla luce di queste considerazioni Sergi e Pronzini chiedono al Consiglio di Stato: