Svizzera
Non si può vietare il Consiglio centrale islamico
I due esponenti del Consiglio centrale islamico della Svizzera sono stati condannati per propaganda a favore di organizzazioni estremiste. Foto CdT/ Chiara Zocchetti
I due esponenti del Consiglio centrale islamico della Svizzera sono stati condannati per propaganda a favore di organizzazioni estremiste. Foto CdT/ Chiara Zocchetti
Keystone-ats
3 anni fa
Rispondendo a un’interpellanza di Lorenzo Quadri, il Consiglio federale ha spiegato come serva una decisione delle Nazioni Unite

Nonostante la condanna di Nicolas Blancho e Qaasim Illi, esponenti di spicco del Consiglio centrale islamico della Svizzera (CCIS), il Consiglio federale non può vietare questa organizzazione, o un qualsiasi altro gruppo, che non figuri in una decisione di divieto delle Nazioni Unite. È il parere espresso dal Consiglio federale in risposta ad un’interpellanza di Lorenzo Quadri (Lega/TI). Il consigliere nazionale domandava se non fosse il caso di pronunciare un divieto del CCIS alla luce della condanna da parte del Tribunale penale federale (TPF) di Blancho e Illi - rispettivamente 15 e 18 mesi con la condizionale - per propaganda proibita in favore di Al Qaida e di altre organizzazioni estremiste. I fatti rimproverati riguardavano un’intervista e un incontro con Abdallah Al-Muhaysini, che dirige l’organizzazione Jaysh-al-Fath, a cui è affiliata al-Nusra, succursale siriana di Al Qaida. I filmati erano stati realizzati dal membro del CCIS Naim Cherni, a sua volta condannato a 20 mesi di prigione, pure con la condizionale. Uno dei video era stato diffuso sul canale Youtube del CCIS e il secondo era stato mostrato in un hotel di Winterthur (ZH).

Nessuna sorveglianza preventiva

Rispondendo a un’interpellanza di Lukas Reimann (UDC/SG) sulla presenza di islamisti in Svizzera e la sorveglianza delle moschee, il governo risponde che movimenti e istituzioni islamiste non sono sottoposti a osservazione preventiva da parte dei servizi segreti elvetici, nemmeno quando praticano e diffondono un’interpretazione e un’applicazione radicale del Corano e del credo islamico come i salafiti. Ciò vale finché non sussistono indizi concreti che l’organizzazione commetta, incoraggi o approvi atti violenti allo scopo di raggiungere i propri obiettivi. Non vi sono quindi indicazioni sul numero di persone che curano un’interpretazione radicale dell’Islam. Attualmente, l’Ufficio federale di polizia assieme ai servizi di informazione sta attualmente verificando le possibilità a livello giuridico per individuare meglio i finanziamenti provenienti dall’estero a istituzioni religiose che favoriscono l’estremismo violento e la radicalizzazione.

La situazione attuale

Per quanto attiene al pericolo terrorista, in Svizzera la minaccia è aumentata dal 2015, tanto che anche nella Confederazione si sono verificati attacchi (Lugano e Morges, n.d.r): singoli individui o piccoli gruppi che agiscono autonomamente, rappresentano la minaccia più probabile. I contatti internazionali tra persone radicalizzate avvengono spesso attraverso i social media, precisa ancora il Consiglio federale. Stando al monitoraggio delle pagine pubbliche Internet nonché dei social media e forum utilizzati dai jihadisti, dal 2012 il Servizio delle attività informative della Confederazione (SIC) ha individuato circa 690 utenti che diffondono in rete, in Svizzera o dalla Svizzera, pensieri jihadisti o che si sono interconnessi con persone aventi gli stessi interessi nella Confederazione o all’estero.

49 persone a rischio

Attualmente , il SIC elenca 49 persone che rappresentano un rischio per la sicurezza interna ed esterna del Paese. Queste persone sono segnalate all’Ufficio federale di polizia (Fedpol) e al Ministero pubblico della Confederazione (MPC). Dall’agosto 2016, il SIC non ha più identificato persone che hanno lasciato la Svizzera per una zona di conflitto motivate da finalità jihadiste. Dall’inizio del 2016, inoltre, il SIC non ha registrato alcun rientro di persone provenienti da zone di conflitto. Attualmente si è a conoscenza di 92 casi di viaggiatori con finalità jihadiste. Di questi, 77 si sono recati in Siria e in Iraq, 14 in Somalia, Afghanistan e Pakistan, e uno nelle Filippine. Secondo il SIC, 32 persone sono decedute, altre viaggiano all’interno delle zone di conflitto o sono ancora sul posto. Il numero di persone rientrate in Svizzera ammonta a 16. Tra le 92 persone, 30 possiedono la cittadinanza svizzera; 17 di queste 30 persone hanno la doppia cittadinanza. Secondo le informazioni disponibili, tra i viaggiatori con finalità jihadiste vi è una dozzina di donne, che presenta legami con la Svizzera, recatasi in Siria e in Iraq. Il SIC presume che una ventina di viaggiatori con finalità jihadiste (uomini, donne, bambini) con cittadinanza elvetica si trovi attualmente nell’area di conflitto siro-irachena. Presso il MPC sono pendenti circa 70 procedimenti penali, principalmente per presunta propaganda o reclutamento a favore di organizzazioni terroristiche oppure per il finanziamento di tali organizzazioni nonché nei confronti di viaggiatori con finalità jihadiste, compresi quelli di ritorno.

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