
In Ticino c’è un momento, subito dopo una domenica di votazioni, in cui l’aria sembra più leggera: è quell’attimo in cui la volontà popolare parla senza urla, senza slogan, senza tifoserie, solo una matita, una scheda e una scelta. E questa volta, sulla questione dei premi di cassa malati, i ticinesi hanno parlato forte, approvando due iniziative distinte, nate da mondi politici quasi opposti ma unite dallo stesso messaggio semplice e diretto: non ce la facciamo più. Da una parte il “10%”, che punta a legare i premi al reddito delle famiglie; dall’altra la deducibilità integrale, pensata per alleggerire il peso fiscale di chi paga ogni mese. Due ricette diverse, forse inconciliabili nei dettagli, ma perfettamente allineate nel grido di fondo: il popolo ha chiesto sollievo, ha chiesto giustizia, ha chiesto respiro. Ed è qui che arriva il punto vero: cosa succede dopo? Perché nel nostro Cantone il “dopo” è il tratto più insidioso, quello in cui tutto rischia di arenarsi. Le commissioni studiano, gli uffici analizzano, i messaggi governativi attendono. I cittadini, intanto, ricevono l’ennesima fattura della cassa malati e leggono sui giornali che sì, tutto verrà applicato… prima o poi. Il rischio è evidente: che la volontà popolare diventi una promessa sospesa, un sì grande come una casa ma poi rimandato a data da destinarsi. E qui non si tratta di simpatie politiche o ideologie: si tratta di rispetto, perché quando il popolo decide non lancia un suggerimento, impartisce un mandato. E quel mandato oggi dice: i premi sono insostenibili, fate qualcosa, e fatelo in fretta. La politica, invece, sembra muoversi con i freni tirati: chi teme i costi, chi invoca prudenza, chi parla di “complessità tecnica”. Tutto legittimo, certo, ma intanto la gente paga, e non con le parole: paga con stipendi che non bastano più, con famiglie che fanno i conti al centesimo, con anziani che devono scegliere cosa rinviare. Tradurre queste iniziative in realtà non è un esercizio accademico: è un dovere, e la credibilità delle istituzioni passa proprio da qui, dalla capacità di mettere in atto al più presto ciò che i cittadini hanno indicato senza ambiguità. Se c’è una cosa che gli ultimi voti ci insegnano è che il Ticino, quando vuole, sa essere molto più unito di quanto sembri, anche su temi che dividono. Ma quell’unità non va sprecata, non va lasciata evaporare nei corridoi delle amministrazioni. I cittadini hanno fatto la loro parte. Adesso tocca a chi li rappresenta. Senza ritardi, senza scuse, senza rimandi. Perché la democrazia funziona solo quando il popolo vota — e chi governa esegue.
