Filippo Rossetti
Per parlare davvero di benessere animale
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Redazione
2 anni fa
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Durante la campagna a favore dell’iniziativa “sull’allevamento intensivo” i favorevoli hanno portato alcuni argomenti. Il problema era che riguardavano solo marginalmente quello doveva essere il tema principale, ovvero le condizioni degli animali da reddito in Svizzera. Questi ultimi sono perlopiù stati usati parlare d’altro, dall’emergenza climatica al consumo di carne dal punto di vista della salute.

Il testo in votazione definisce l’allevamento intensivo come quell’allevamento “che lede sistematicamente il benessere degli animali”: esiste tale realtà in Svizzera? Solo se si dà un’altra definizione di “allevamento intensivo” che non è però quella su cui dobbiamo esprimerci. Gli stessi pasticci linguistici degli iniziativisti, che passavano da allevamento “intensivo” ad “industriale” fornendone definizioni variegate sono la riprova di questi contorsionismi argomentativi.

Noi lo abbiamo ripetuto più volte durante la campagna: la Svizzera dispone già di criteri tra i più stringenti al mondo. Sono perfetti? No. Sono migliorabili? Sì. Perché dunque ci siamo opposti -ed indignati- a tale iniziativa? Perché, come detto, mira a ben altro e per ottenere ciò gli iniziativisti hanno voluto attribuire uno stigma al settore primario svizzero. Quello di difendere, se non sostenere, l’allevamento intensivo. Mentre la realtà è ben diversa.

Perché significa negare quanto la legislazione elvetica sta facendo da anni, ovvero di aggiornarsi regolarmente in un continuo miglioramento. Ma queste riforme sono tecniche e “noiose”: dire che è stato creato un inventario nazionale per il monitoraggio dei farmaci ad uso veterinario (2019) non è certamente eccitante come dire che si è abolito l’allevamento “intensivo”. Anche se la prima è calibrata, mirata e concreta mentre la seconda è astratta e richiede riforme tanto severe quanto problematiche. Le ripercussioni non toccherebbero solo per il settore agricolo ma anche noi consumatori.

Perché l’obiettivo è ben altro, come hanno più volte ripetuto gli iniziativisti. Se avessero davvero voluto concentrarsi sul benessere degli animali da reddito in Svizzera avrebbero scritto un testo ben diverso da quello che ci chiedono di votare. Il 25 settembre non ci viene chiesto di “mandare un messaggio” ma di firmare un contratto preciso e vincolante.

Votare NO significa rifiutare la strategia degli iniziativisti volta a confondere l’elettorato per raggiungere altri scopi. Non significa disinteressarsi al benessere degli animali da reddito ma ritenere che le modifiche debbano essere ponderate, calibrate e sostenibili per tutti noi e che il tutto meriti un dibattito preciso. Questa iniziativa non è niente di tutto ciò né ha mai voluto esserlo.

Filippo Rossetti, membro UCT

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