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Olindo Vanzetta - Storia di una capra chiamata Dricia
Olindo Vanzetta - Storia di una capra chiamata Dricia
Olindo Vanzetta - Storia di una capra chiamata Dricia
Redazione
7 anni fa

La storia che intendo raccontare ha per protagonista una capra con due corna lunghe e diritte come spade, chiamata appunto Dricia. Come ogni anno, a dipendenza dell’innevamento da una parte e l’inizio delle nascite dei capretti dall’altra, si dà avvio al rientro delle capre sparse in montagna, in vista della loro stabulazione invernale. Raggruppamento che dura di solito, se tutto va bene, una quindicina di giorni

Si deve infatti penare che trattandosi di una pascolazione estensiva, l’area territoriale in cui si muovono è molto vasta, e che un gregge numeroso non sempre si trova unito. Inoltre il bsco e la vegetazione in generale rendono difficile la loro individuazione.La capra vive e si muove all’interno di un dato spazio che è quello dove è tata allevata ed è abituata a pascolare. È quindi un animale ben radicato e orientato all’interno del suo territorio.

La mancanza dal gregge di una sola capra è sempre un brutto segno, e la probabilità che essa sia stata vittima di incidenti come la caduta di sassi, di ghiaccio, fulmini o altro è molto alta.

Era il 20 di gennaio quando, dopo una quindicina di giorni trascorsi con il cannocchiale e la borsa del sale a tracolla, gli scarponi ai piedi, finalmente ero riusicito a radunarle tutte. Tutte tranne una, “ra Dricia”. Brutto segno. La scorsa settimana ancora gli avevo dato del pane.

Il ritrovamento di una sola capra uscita dal gregge, in un’area così vasta caratterizzata da fitta vegetazione, avvallamenti vari, anfratti, ecc., richiede spesso frequenti appostamenti e una paziente esplorazione della zona con il cannocchiale. Può succedere, con un po’ di fortuna, di scoprirla il primo giorno di ricerca, come pure dopo dieci e più giorni.

Era una giornata ventosa quando, dopo dieci giorni di infruttuose ricerche, presi nuovamente il cannocchiale con l’intenzione di perlustrare soprattutto quelle zone non esposte o poco esposte al vento. Dopo una buona mezz’ora di minuziosa osservazione finalmente la vidi, eccola, non v’è alcun dubbio, è proprio lei, “ra Dricia”. Con quelle corna è davvero inconfondibile. Presi una corda e subito partii, dopo un’oretta di cammino la raggiunsi.

Appena giunsi in vicinanza della capra, subito mi accorsi che qualcosa non quadrava. Aveva il pelo irto, quel che si dice in buon dialetto ”bisgia”. Più da vicino notai che aveva la mammella di colore violetto, turgida e gonfia. Diagnosi più che facile: mastite. Inoltre la capra aveva partorito, ma del capretto nessuna traccia. Prima di cercare il capretto la legai ad un arbusto per alleggerirla dal latte mastitico, stagnante nella parte infiammata della mammella. Operazione sicuramente fastidiosa e forse anche dolorosa. Mentre la stavo mungendo notai che la capra spesso girava la testa e guardava con insistenza sempre nella stessa direzione. Facile dedurre che il capretto doveva trovarsi, vivo o morto, proprio dove guardava la capra.

La slegai, si guardò più volte attorno prima di partire. Poi, con andatura circospetta si mosse e in poco tempo, raggiunse il luogo che precedentemente fissava con insistenza. Subito la raggiunsi e con gradita sorpresa trovai il capretto indebolito e affamato ma ancora vivo. Rassicurato dalla presenza della mamma si lasciò prendere facilmente e fu così salvato da morte sicura. Così come, altrettanto certamente, la vigilanza e le lunghe corna della mamma l’avranno salvato dall’astuta volpe.

Olindo Vanzetta, Biasca

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