Quanta passione, quanta tensione, intorno a un “palazzo”. Certo, un palazzo di marmi splendenti e vetrate abbaglianti, ma pur sempre un immobile, costoso, datato, di difficilissima e costosissima gestione. Le élites del paese si stanno affannando da settimane per difendere l’indifendibile, reclutando avvocati, politici, consiglieri di Stato, giudici, notai, ex-politici, ex-giudici ed ex-consiglieri di Stato per convincerci, noi “populisti” dell'assoluta necessità di spendere milioni per un edificio, anzi proprio per questo edificio. Eh, ma vabbè, è di Botta, ci dicono quando gli argomenti sono esauriti.
Il proposto acquisto dello stabile ex EFG a Lugano per la magistratura ticinese è un esempio lampante di una dinamica ormai insostenibile. Un'operazione da centinaia di milioni di franchi che genera dubbi e perplessità e, per fortuna, un dibattito acceso. I fautori sostengono che sia essenziale per dotare la magistratura di una sede moderna e funzionale. Ma è davvero giustificabile spendere così tanto in un periodo di difficoltà economiche? No, non possiamo permetterci di impegnare risorse pubbliche in un progetto il cui costo finale resta incerto e che appare già superato dai tempi.
Da una parte dunque le élites che vogliono il loro nuovo splendido “palazzo” o, come la chiamano loro “la cittadella”, all’altra parte, il popolo. Quello spesso sottovalutato, criticato e giudicato, ma che con il suo buon senso e il proprio duro lavoro mantiene il paese. Il popolo che paga con le proprie imposte le spese dispendiose e i voli pindarici di una politica che ha perso il contatto con la realtà. Quella medesima politica che, tra qualche mese, chiederà sacrifici a quello stesso popolo per rimediare alla propria incapacità di prendere decisioni nell’interesse collettivo.
Non è nell’interesse del paese acquistare questo stabile, non a questo prezzo e senza trasparenza sui costi finali. Questo progetto è datato, superato dagli eventi. Mi auguro che i cittadini, il popolo, diranno di no a questo acquisto, senza farsi intimidire dalla pressione o dal ricatto delle élites.
Se la classe politica, che è eletta per governare, non sarà in grado di trovare una soluzione funzionale ed economica per la giustizia, allora è il momento che alcuni facciano un passo indietro. Il paese troverà più degni sostituti.
È tempo che la politica torni a essere al servizio dei cittadini e non dei propri interessi. La gestione delle risorse pubbliche deve essere trasparente, oculata, orientata al bene comune. Bisogna evitare sprechi mascherati come “acquisti prestigiosi”.
Solo così potremo garantire un futuro prospero e giusto per tutti, dove ogni decisione rispecchia realmente l'interesse collettivo e non quello di pochi privilegiati.
Niente cittadelle, niente palazzi, niente marmi. La giustizia non ha bisogno di sfarzo ma di sobrietà, concretezza e lavoro silenzioso.