Ospiti
Flaviano Nicola - Lotta al terrorismo, o terrorismo psicologico?
Flaviano Nicola - Lotta al terrorismo, o terrorismo psicologico?
Flaviano Nicola - Lotta al terrorismo, o terrorismo psicologico?
Redazione
5 anni fa

Quando si discute di armi da fuoco c’è subito un infiammarsi degli animi. Il tema è molto emozionale, e ciò è sintomatico della radice profonda che ha, in Svizzera più che in altri paesi, il rapporto tra cittadino e arma da fuoco, che è la cartina tornasole del rapporto tra cittadino e Stato. Nella retorica della Willensnation, le Schützenfeste hanno avuto un ruolo non indifferente nel cementare la comunità nell’ottica di coesistere insieme come moderna Confederazione; uno Stato nazionale fondato sulla libera volontà dei suoi cittadini di convivere, insieme e pacificamente. Uno Stato che esiste per volontà dei cittadini, costruito dai cittadini per i cittadini. Cittadini che sono altresì soldati, e che come tali si sono dati il diritto di detenere al domicilio il garante per eccellenza delle loro libertà. Quest’impostazione riflette un profondo rapporto di fiducia che lo Stato Svizzera ha nei confronti della sua base, lo stesso che spiega che al maggiorenne svizzero sia garantito il diritto di intervenire legislativamente a livello federale, scavalcando sia Consiglio Federale che Parlamento.

Strumenti, quelli dell’iniziativa popolare costituzionale e del referendum legislativo e costituzionale, che esistono perché a quel rapporto di fiducia tanta importanza è stata data che al cittadino è concessa l’ultima parola; egli è il potere costituente dello Stato, egli è il Sovrano. Non un’élite eletta a sua rappresentanza, tantomeno una commissione legislativa internazionale di burocrati. Un rapporto di fiducia che, forse, solo uno Stato geograficamente piccolo come la Svizzera può permettersi, ma che certamente gioca un ruolo fondamentale nella soddisfazione e nell’orgoglio che si possono provare nel dichiararsi svizzeri, sentimenti anche misurabili nella gestione della cosa pubblica di qualità e, più in generale, nella qualità della vita alle nostre latitudini. È in questo contesto che si inserisce la votazione del prossimo 19 maggio sul recepimento nel diritto svizzero della direttiva UE sulle armi 2017/853.

Una direttiva che non fa storcere il naso solo agli svizzeri, ma che, al contrario, anche all’interno degli stessi Stati membri dell’Unione europea non incontra grosse simpatie. Retorica patriottica a parte sono convinto vi siano numerosi motivi per votare un no ben ponderato il mese prossimo, eccone alcuni: Il ricorso pendente della Repubblica Ceca Tra i paesi membri dell’UE che non vogliono recepire la direttiva sulle armi vi è in prima linea la Repubblica Ceca, che il 9 agosto 2017 ne ha contestato la legittimità presso la Corte di Giustizia dell’Unione europea. Tra le critiche vi sono l’interpretazione estensiva del concetto di mercato interno, l’accusa di discriminazione e la generale sproporzionalità delle misure richieste. Il ricorso è tuttora pendente, ma è interessante vedere più in dettaglio di cosa si tratta: - La Repubblica ceca critica innanzitutto che la direttiva – avendo la sua base giuridica nell’articolo 114 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che autorizza l’Unione ad emanare direttive allo scopo di rendere omogenee le legislazioni nazionali che hanno “per oggetto l'instaurazione ed il funzionamento del mercato interno” degli Stati membri – non abbia un fondamento giuridico sufficiente. In particolare, viene sostenuto che la lotta al terrorismo – lo scopo dichiarato di questa direttiva – con il buon funzionamento del Mercato interno c’entri ben poco.

Le direttive sul controllo delle armi emanate dall’UE nascono da un bisogno ben preciso: evitare che la legislazione permissiva o approssimativa di uno Stato finisca per pregiudicare la sicurezza negli altri stati dell’UE in virtù della libera circolazione delle merci: Non è infatti tollerabile che acquistando legalmente un’arma in uno stato membro nel quale vigono condizioni blande per l’acquisto, poi quell’arma, al pari di un pacchetto di caramelle, possa circolare liberamente all’interno dello spazio Schengen. Se quindi era più che legittimo creare un minimo comun denominatore tra i vari paesi per evitare che armi da fuoco circolassero senza controllo, un inasprimento della stessa legislazione con lo scopo (apparente, perché inefficace) di combattere il terrorismo è fuori luogo e va oltre la base giuridica della direttiva. - A motivo dell’accusa di discriminazione vi è l’eccezione che il Consiglio Federale ha ottenuto per la Svizzera e poi rifilato al parlamento e ora vorrebbe vendere al popolo come un ottimo compromesso, come una “soluzione pragmatica”.

La Repubblica Ceca contesta, infatti, che solo alla Svizzera sia stata concessa una variazione nell’applicazione della direttiva. La cosa è rilevante per noi soprattutto per un motivo; se la Corte di Giustizia dovesse mai decidere, seppur parzialmente, in favore della Repubblica ceca è legittimo pensare, sulla base del dirigismo tipico dell’istituzione UE, che sarà su questa pretesa. Cioè non nell’ottica di un’eccezione garantita a sua volta alla Cechia, ovviamente, ma piuttosto alla constatazione dell'irregolarità di quella garantita alla Svizzera: Dovesse il popolo svizzero accettare la modifica alla legge federale sulle armi, non è affatto da escludere che la sentenza della Corte vada poi comunque a dichiararne l’incompatibilità con il diritto internazionale. E ciò dopo che lo Stato svizzero avrà già speso denaro pubblico nell’implementazione dei nuovi processi amministrativi – perché che la burocrazia non sia gratis non è certo una novità –. A tal proposito, citando dal messaggio del Consiglio Federale: “I Cantoni, nei pareri formulati nell’ambito della consultazione, hanno stimato che le modifiche proposte dovrebbero comportare per gli uffici cantonali delle armi oneri aggiuntivi in termini di personale pari a una percentuale di impiego compresa tra il 25 e il 500 per cento.” - La sproporzionalità della misura è misurabile anche a livello nazionale, in quanto la Costituzione Svizzera prevede anch’essa il principio di proporzionalità (art. 5 cpv. 2). Il diritto di possedere un’arma da fuoco è garantito dai diritti fondamentali.

Questi non sono intangibili, ma possono essere limitati, a patto che le condizioni elencate nell’articolo 36 della Costituzione siano rispettate. Secondo questo articolo una limitazione è, tra l’altro, necessario sia proporzionale. La proporzionalità, essendo un termine giuridico difficile da concretizzare, viene scomposta da chi è chiamato ad applicarla in tre componenti cumulative; necessità, efficacia, e in terzo luogo, tollerabilità della misura. In pratica, nel caso specifico, vi sono alcune domande a cui rispondere. Per essere dichiarata proporzionale la misura deve ottenere risposte positive a tutti e tre le componenti: Necessità: è necessario inasprire il diritto sulle armi svizzero, è necessario vietare le armi semiautomatiche (Fass57, Fass90), è necessario limitare la grandezza dei caricatori a 10 proiettili… per combattere il terrorismo? Quali degli attentati che hanno mosso l’UE a legiferare sono stati compiuti con armi svizzere? Nessuno, e non erano neppure armi acquistate legalmente sul mercato interno europeo. E, addirittura, non erano nemmeno armi semiautomatiche, ma fucili mitragliatori, cioè armi automatiche. Armi automatiche provenienti dal traffico illegale di residuati bellici delle guerre dell’est.

Si può dunque definire necessario l’inasprimento della legislazione che regola l’acquisto di armi da parte dei cittadini onesti? Efficacia: È efficace, nella lotta al terrorismo, vietare la vendita a cittadini onesti, non pregiudicati, mentalmente stabili e provvisti di sana facoltà di discernimento (che poi sono le condizioni attualmente in vigore in Svizzera per ottenere un permesse di acquisto per un’arma da fuoco semiautomatica)? È efficace vietare i caricatori da più di 10 colpi per evitare stragi svolte con armi che vengono acquistate illegalmente su un mercato nero estero e altrettanto illegalmente contrabbandate all’interno dei paesi europei? È Efficace, per combattere il terrorismo, obbligare i tiratori svizzeri a dimostrare di far parte di un’associazione di tiro ad intervalli regolari? È efficace gettare un generale velo di sospetto su tutti coloro che svolgono la pratica del tiro, collezionano armi, detengono un’arma?

Tollerabilità: È tollerabile per il cittadino svizzero che i suoi diritti costituzionali vengano limitati e che la tradizione centenaria del tiro venga picconata, nell’ottica di una sua abolizione strisciante, in virtù di una fantomatica lotta al terrorismo? Il principio di proporzionalità è palesemente violato. Il fatto che in Svizzera non esista un tribunale costituzionale significa, tra l’altro, che contro questa violazione non vi è nessuna possibilità di ricorrere: Venisse accettata la modifica alla legge federale sulle armi il 19 maggio, questa entrerebbe in vigore e sarebbe vincolante per tutte le autorità e istanze svizzere, compreso il Tribunale Federale (Art. 190 Cost.). Solo il Sovrano può, arrivati a questo punto, fermare questo abuso giuridico, votando un convinto no. La cosa eclatante e triste è che addirittura in parlamento, durante le discussioni sulla modifica legislativa, è stato ammesso che queste misure non hanno alcuna efficacia nella lotta al terrorismo, ma che andavano accettate per non irritare l’Unione Europea. Definirlo diktat UE è quindi così sbagliato? È la politica che vogliamo quella di cedere ad ogni minaccia di ritorsioni di un partner internazionale?

L’esclusione da Schengen Il che ci porta alla fantomatica esclusione da Schengen: L’articolo 7 paragrafo 4 dell’accordo riguardante l'associazione della Svizzera all'attuazione, all'applicazione e allo sviluppo dell'acquis di Schengen (RS 0.362.31) prevede che in caso di mancato recepimento da parte svizzera il comitato misto si riunisca e decida, unanimemente, gli ulteriori passi. Solo in mancanza di una decisione avviene la cessazione dei rapporti Schengen. In questo contesto la Svizzera ha motivi oggettivi più che validi e legittimi per giustificare l’esito negativo del referendum. Che il comitato misto decida di escludere la Svizzera – e pertanto, rinunciando allo scambio di informazioni proveniente dal nostro paese, di andare ad accecare il suo sistema di controllo anticriminalità proprio nel centro dell’Europa geografica – ottenendo esattamente l’opposto di ciò che si sarebbe prefissata la Commissione europea con questa direttiva, trovo sia un’ipotesi veramente poco realistica. Inoltre, anche in quest’eventualità, nulla vieterebbe alla Svizzera, per esempio, di riconoscere autonomamente il visto Schengen e continuare ad accettare turisti provenienti da quest’area esattamente come fa oggi. Tanto va detto a proposito del terrorismo psicologico a cui assistiamo.

A riguardo di tutto il complesso Schengen, comunque, ci fu promesso un blindamento dei confini esterni dell’Unione Europea (FrontEx) in contropartita all’abolizione dei controlli alle frontiere interne tra gli Stati membri e affiliati. Quanto questi confini esterni siano in realtà un colabrodo è stato palesato dalla crisi migratoria del 2015, dove senza controllo alcuno arrivarono, nella sola Germania, più di un milione di migranti. Con queste premesse è più che legittimo pensare che contrabbandare all’interno delle frontiere esterne delle armi illegali non sia poi così difficile, ed è difatti stato dimostrato da servizi di emittenti televisive di diversi paesi, reperibili facilmente su internet. Una volta all’interno dell’Unione è poi uno scherzo spostarsi tra i paesi, vista appunto l’abolizione dei controlli alle frontiere. Non è con una legislazione simbolica che infierisce sulle autonomie nazionali che si combatte il traffico di armi che alimenta terrorismo e criminalità in generale, ma chiudendo le falle sistemiche di Schengen. Il capovolgimento dello status quo Un altro problema giuridico nasce dalla nuova impostazione del rilascio dei permessi per le armi semiautomatiche. Oggettivamente ai tiratori cambierebbe poco o nulla, perché quello che oggi possono ottenere con un permesso di acquisto domani l’otterranno ugualmente con un permesso eccezionale. Quello che sembra un adattamento estetico in realtà è un’espediente giuridico:

Un permesso d’acquisto per un’arma da fuoco semiautomatica, oggi, è un cosiddetto un permesso di polizia; la caratteristica di un permesso di polizia è che, solo se le condizioni previste dalla legge sono adempiute, vi è un diritto all’ottenimento dello stesso. Non vi è alcun margine di apprezzamento per l’autorità che lo rilascia. Questo tipo di permesso nasce dall’esigenza di escludere ogni possibile decisione arbitrale e di garantire il rispetto dei diritti costituzionali dei cittadini, anche dove vi è un interesse pubblico a una limitazione degli stessi, come appunto il fatto – auspicabile – che non chiunque possa acquistare un’arma da fuoco. Un permesso eccezionale, come dice il nome stesso, è un tipo di permesso che nasce, al contrario di quello di polizia, dall’esigenza di poter fare delle eccezioni alla rigida applicazione della legge, per rispondere a quei casi dove questa, applicata indiscriminatamente, produrrebbe un’ingiustizia. La procedura per l’emissione di questo tipo di permesso, fisiologicamente, ne prevede un uso ridottissimo, a fronte dell’ampio margine di apprezzamento dell’autorità competente. Inoltre, e qui casca l’asino, non vi è nessun diritto del richiedente all’ottenimento del permesso, anche se le condizioni base sono adempiute.

L’autorità competente può rilasciarlo, non deve. A prescindere dal fatto che con questa modifica legislativa il Consiglio Federale propone di estraniare il concetto stesso di permesso eccezionale, rendendolo de facto la regola e non più l’eccezione, vi è una ripercussione nient’affatto irrilevante: Dove oggi il tiratore ha diritto di ricevere un permesso d’acquisto, se rispetta le relative condizioni legali, domani avrà solo il privilegio, concesso dall’ampio margine di apprezzamento di un’autorità cantonale, di riceverlo. Questa sottaciuta verità dovrebbe fare saltare sulla sedia qualsiasi cittadino. Un ribaltamento giuridico non è affatto una modifica irrilevante, e il fatto che venga sottaciuto è più che sospetto. Non è assolutamente per una “paranoia infondata” dei tiratori se sono state raccolte più di 125'000 firme per il referendum, quando ne sarebbero bastate 50'000, e se assistiamo a questa generale mobilitazione in vista della votazione. La politica del disarmo strisciante Il Consiglio Federale aveva garantito, nel 2005, durante la campagna per l’adesione a Schengen, che il diritto svizzero sulle armi non sarebbe stato modificato in maniera sostanziale a seguito di quest’adesione. Ora ci dice che questo “pragmatico compromesso” non minaccia la tradizione del tiro e non è assolutamente una politica strisciante verso il disarmo.

Visto l’articolo 17 della direttiva che recita “entro il 14 settembre 2020, e successivamente ogni cinque anni, la Commissione presenta al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sull'applicazione della presente direttiva, incluso un controllo dell'adeguatezza delle relative disposizioni, corredata all'occorrenza da proposte legislative […]” il prossimo inasprimento fa già, in pratica, capolino all’orizzonte. Dobbiamo quindi abituarci sin d’ora ad inasprimenti regolari e imposizioni (e non certo limitate alla sola legislazione sulle armi, vedasi protezione dei salari e accordo quadro) con il pretesto di una presunta esclusione da Schengen? E quanto ci vorrà prima che sia presa di mira la stessa democrazia diretta, manifestamente incompatibile con la conduzione degli affari elitarista e tutoria dell’UE?

Gli argomenti non pertinenti dei favorevoli I favorevoli chiamano anche in causa – non potendosi certo basare solo sulla storiella dell’esclusione da Schengen montata come la panna – i suicidi commessi con armi da fuoco, come pure il presunto aumento della violenza perpetrata con armi da fuoco. Oltre che ad essere fuorviante (infatti i suicidi in generale sono in diminuzione costante, come lo sono quelli commessi con armi da fuoco, come pure i crimini violenti commessi con armi da fuoco, e non lo dice il sottoscritto ma dati statistici) ciò è anche una maniera subdola di fare politica, che invero tradisce la reale volontà dei sostenitori di questa modifica; andare, con la famosa tattica del salame, a disarmare il popolo. Il mezzo è assolutamente irrilevante. Non a caso le aree politiche che sostengono veementemente questo recepimento nel 2011 erano le stesse che sostenevano l’Iniziativa popolare federale 'Per la protezione dalla violenza perpetrata con le armi', che pretendeva il divieto di detenzione dei fucili militari nelle case, che fu bocciata.

Si è giunti anche alla spudorata menzogna: come ha recentemente fatto Gioventù Socialista Ticino nel suo comunicato stampa sugli oggetti in votazione in maggio; è infatti stato dichiarato che vi sarebbe una correlazione tra l’aumento di permessi d’acquisto (che è un dato reale e una tendenza in diversi cantoni) e un aumento della violenza commessa con le armi, che in realtà va diminuendo da anni: Un vero e proprio capovolgimento della realtà dei fatti. Un no non è un no all’Europa, tantomeno un no a Schengen. Un no è un no a una legge inutile, burocratica, costosa e persino incostituzionale. Un no a una legge il cui unico merito sarebbe quello di assestare un’altra picconata alla responsabilità individuale, quando, ricordiamoci, non esiste libertà senza responsabilità. Un no è la risposta ovvia per un popolo libero e sovrano

Flaviano Nicola, giurista

© Ticinonews.ch - Riproduzione riservata