Stefano Dias
F-35: lo compriamo per non doverlo usare
©Chiara Zocchetti
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Redazione
un giorno fa
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Negli ultimi giorni si parla di un possibile aumento dei costi per il progetto F-35, forse fino a 1,3 miliardi in più rispetto alle stime iniziali. È una notizia preoccupante, certo. Ma mandare tutto all’aria oggi sarebbe una scelta ben più grave. Prima di gridare allo scandalo, serve attendere le risposte ufficiali: da parte del Consigliere federale Pfister, dal DDPS e da tutte le autorità coinvolte. È giusto pretendere chiarezza. È doveroso garantire che il prezzo finale dell’acquisto resti coerente con quanto promesso durante la votazione del 2020. Ma annullare ora l’acquisto dell’F-35 non sarebbe solo una scelta sbagliata: sarebbe una scommessa sulla sicurezza del nostro Paese che nessuno può permettersi di fare.

Abbiamo già investito oltre 700 milioni di franchi. Tornare indietro significherebbe gettare denaro pubblico nella spazzatura. Ma ancora più grave, significherebbe ignorare e tradire una decisione presa democraticamente attraverso il voto popolare. Gli svizzeri si sono espressi chiaramente. Bloccare tutto adesso manderebbe un segnale pericoloso: che la volontà del popolo vale solo quando fa comodo. È giusto verificare che tutto sia in regola. Ma partire a gamba tesa, senza attendere verifiche o chiarimenti ufficiali, sa tanto di propaganda politica. Esistono alternative più responsabili: si può valutare di impugnare per vie legali il contratto firmato nel 2022 oppure di ridurre il numero di esemplari. Ma ciò che serve oggi è razionalità, non isteria.

La mia priorità, come cittadino e come controllore del traffico aereo, è spiegare alle persone qual è il reale utilizzo di questo aereo. Perché troppo spesso si parla di “spreco” senza conoscere a fondo la funzione reale di questi strumenti. Il vero spreco non è nei soldi spesi, ma nel ridurre la complessità umana a una lista di spese sensate solo in base alle proprie priorità personali. Basta che una cosa non ci interessi, e diventa automaticamente uno “spreco” per noi. Ma uno Stato non può ragionare così. La sicurezza collettiva non si gestisce solo con quello che piace a ciascuno di noi.

Immaginate una scena che nessun controllore del traffico aereo vorrebbe mai affrontare. Davanti al radar, un aereo di linea sta volando normalmente nello spazio aereo svizzero. All’improvviso, smette di rispondere alle comunicazioni. Cambiamo frequenze, contattiamo altri settori, proviamo ogni canale. Ma niente. Silenzio. L’aereo non scende, non sale, non vira. Continua la sua rotta dritto verso una città. È una situazione che alleniamo nei simulatori, ma non è nemmeno così teorica. È già successa. Nel 2014, un 767 dell’Ethiopian Airlines è stato dirottato dal copilota lasciando fuori il comandante. Nel 2024, un A321 Lufthansa ha perso i contatti radio perché un pilota era svenuto e l’altro era momentaneamente fuori dalla cabina. E nel tragico caso del volo Helios del 2005, un Boeing 737 ha volato per ore fuori controllo, scortato da F-16 ellenici, fino a schiantarsi in Grecia causando la morte di tutti a bordo.

Come controllore, in quei momenti sei impotente. Provi tutto quello che puoi. Ma poi c’è una sola cosa da fare: attivare la polizia aerea. Due jet da combattimento pronti a decollare in pochi minuti, per intercettare l’aereo e accertare cosa sta succedendo. È questo il senso profondo dell’avere una forza aerea moderna ed efficiente: non attaccare, ma intervenire quando tutto il resto ha fallito. Nel caso di un aereo fuori controllo, o di un aereo ostile o sconosciuto che entra nel nostro spazio aereo, serve qualcuno che possa esserci, in tempo reale, e prendere decisioni anche difficili. Se non c’è alternativa e un aereo va abbattuto per salvare centinaia di vite a terra, deve esserci chi può farlo. È brutale, ma è realtà.

Per fare questo, non basta un aereo qualunque. Serve un velivolo moderno, veloce, capace di comunicare, reagire, vedere e farsi vedere, anche in scenari complessi. L’F-35 è questo. È molto più di un jet: è una piattaforma integrata di sensori, comunicazione, sorveglianza e attacco. Un sistema che permette di sapere prima, vedere meglio e agire con più efficacia. Non è un caso se proprio in questi giorni Israele — uno dei Paesi con le esigenze di difesa più elevate al mondo — ha utilizzato l’F-35 per operazioni nello spazio aereo iraniano, uno degli ambienti più sorvegliati del pianeta. L’F-35 ha saputo penetrare le difese radar più avanzate e operare senza essere individuato, raccogliendo informazioni cruciali. È un esempio concreto di ciò che significa superiorità tecnologica.

Chi oggi propone di abbandonare l’F-35 per passare a un caccia europeo ignora dati fondamentali, o diciamolo chiaramente: non vuole proprio un aereo da combattimento. Il Rafale e l’Eurofighter Typhoon sono entrambi ottimi velivoli. Ma non sono più economici. Al contrario: spesso il costo d’acquisto, di esercizio e soprattutto di aggiornamento è più elevato, perché si tratta di programmi con una base industriale e operativa molto più limitata. Un esempio attuale lo troviamo in India, che ha appena firmato un accordo con la Francia per l’acquisto di 26 Rafale al prezzo di 7,4 miliardi di dollari, come riportato da Reuters. Facciamo un rapido confronto: la Svizzera ha acquistato 36 F-35 a 6 miliardi di franchi, ovvero 10 jet in più per un miliardo e mezzo in meno. E parliamo di un aereo con capacità operative, tecnologiche e di integrazione ben superiori. Dire che l’F-35 è “troppo caro” è semplicemente falso: nella realtà dei mercati odierni, è uno dei caccia più convenienti, sia in fase di acquisizione che lungo il suo intero ciclo di vita operativo.

L’F-35, invece, è già utilizzato da oltre dieci Paesi europei: Italia, Norvegia, Regno Unito, Paesi Bassi, Belgio, Danimarca, Polonia, Germania, Finlandia e naturalmente la Svizzera stessa. A livello globale, ci sono più di mille esemplari già operativi. Questo crea una rete di supporto interoperabile, con economie di scala, aggiornamenti costanti, simulazioni condivise, ricambi rapidi e maggiore sicurezza anche dal punto di vista geopolitico. Entrare in questo ecosistema non significa essere dipendenti: significa essere parte di una rete che funziona.

Scegliere oggi un jet alternativo significa pagare di più per avere di meno. E arrivare comunque in ritardo rispetto alla modernizzazione già in corso negli altri Paesi. I rincari nei progetti pubblici non sono certo una novità. Basta guardare esempi concreti in Svizzera: il progetto del Tram-Treno del Luganese, il tunnel di base del Ceneri passato da un costo stimato di 1,3 miliardi a oltre 3,6 miliardi, la galleria di base del Gottardo con aumenti superiori al 30%. Oppure la cosiddetta “commessa del secolo” tra le FFS e Bombardier, costata 1,9 miliardi, con ritardi e rincari finiti su tutti i giornali. Eppure nessuno dice che non avremmo dovuto costruire il Gottardo o il Ceneri. E quei treni, con tutti i loro problemi iniziali, oggi viaggiano ogni giorno sulle nostre linee. Perché erano infrastrutture strategiche. Come lo è oggi il sistema F-35 per la sicurezza aerea della Svizzera.

Non è il momento di cambiare rotta. È il momento di completare il volo. I superamenti di spesa ci sono sempre stati e ci saranno sempre, soprattutto negli appalti pubblici. Ma stupisce che solo l’F-35 sia costantemente al centro dei riflettori, come se ci fosse un accanimento mediatico e politico costruito ad arte. Ed è proprio per questo che invito tutti i cittadini a non farsi influenzare da slogan facili o da opinioni urlate senza fondamento tecnico. Bisogna ascoltare chi è informato, chi lavora davvero con queste tematiche, chi si basa su dati ufficiali e fonti specializzate. Spesso basta semplicemente cercare per scoprire la verità: il caso dell’accordo tra India e Francia sui Rafale, 26 aerei per 7,4 miliardi di dollari, è lì a dimostrarlo. Sono informazioni pubbliche, che aiutano a smascherare certe narrazioni distorte. Ripetiamolo chiaramente: non si compra un caccia per usarlo tutti i giorni. Si compra per non doverlo mai usare. Ma per sapere che, se l’imprevisto succede, ci sarà qualcuno pronto a intervenire.

Stefano Dias, Presidente Verdi Liberali Ticino

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