Alessandro Speziali
AVS 21: QUESTIONE DI GENER… AZIONI
©Chiara Zocchetti
©Chiara Zocchetti
Redazione
2 anni fa
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La riforma sulla quale votiamo il 25 settembre non è una questione di genere, ma di generazioni. La sfida consiste nel mostrarci capaci di pensare anche a chi verrà dopo di noi, donna o uomo che sia: mentre ci serviamo al buffet AVS, ci viene chiesto di fare in modo che chi adesso sta iniziando la coda trovi ancora qualcosa da mangiare. La logica dell’AVS è che le generazioni attive finanziano i pensionati. Ha fatto bene Giovanni Galli a ricordarcelo, nel suo editoriale del 13 settembre. Con il pensionamento dei boomer e l’aumento della speranza di vita, oggi la piramide demografica differisce profondamente da quando nacque l’AVS nel 1948. È incontrovertibile: ci sono molti più pensionati, che vivono più a lungo, e molti meno attivi a finanziare le pensioni. Sono così peggiorate le prospettive dei giovani, ai quali oggi non resta che apparecchiarsi da soli un terzo pilastro (o, per i più arditi, sperare in qualche colpo sui mercati azionari o delle criptovalute).

Il dibattito sulla votazione, tuttavia, è stato volutamente impostato nei termini di un derby di genere: una confusione che non serve a nessuno - specialmente alle giovani donne. Le cifre dicono che la sfida dell’equità nel trattamento previdenziale si gioca più che altro nel secondo pilastro, non nel primo. Boicottare «AVS 21» non contribuisce alla causa femminile e tiene in ombra la questione generazionale. Chiariamolo subito: sebbene dagli anni del Dopoguerra a oggi la situazione della parità di genere in Svizzera sia migliorata, come era sacrosanto, il percorso da compiere rimane lungo. Un percorso analogo va però compiuto anche a favore dell’equità intergenerazionale, troppo poco tematizzata, benché colpisca tutti i giovani, donne e uomini.

Questo silenzio ci deve preoccupare, poiché si tratta di una questione di giustizia non meno impellente rispetto ad altre battaglie civili.

Tornando al 25 settembre: un’indagine del Centro di ricerca congiunturale dell’ETH e della NZZ mostra chiaramente che la stragrande maggioranza degli specialisti ritiene necessaria questa riforma. Nonostante questo consenso, che poggia su dati indiscutibili, osserviamo il crescente disagio per la disonestà intellettuale di ampi tratti della campagna per il no. I manifesti descrivono scenari inesistenti («Pensione a 67 anni?»), evocando fantasmi che solitamente compaiono all’estremo politico opposto. La disinformazione del comitato referendario è addirittura confluita nell’opuscolo della Confederazione, menzionando ipotetiche decisioni che il Parlamento prenderebbe nel 2026 - siamo alla sfera di cristallo, ammantata dal velo ideologico e da una notevole dose di malizia comunicativa, con insigni esponenti eletti della sinistra che arrivano persino a negare il bisogno di una riforma.

La verità è che dire sì il 25 settembre significa impegnarsi finalmente a riformare un sistema AVS sostenibile nel tempo.

Non assumerci questo compito, accampando scuse o cercando scorciatoie che sanno di pensiero magico («I miliardi della BNS!»), non farà che aumentare il peso sulle spalle delle generazioni del futuro quel futuro che alcuni trattano come il tappeto sotto il quale scopare gli errori della politica del presente.

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