Opinioni
Non abbaia solo Sturn
Sturn meritava un’altra vita, ma le reazioni sui social alla sua soppressione superano spesso il limite.
Sturn meritava un’altra vita, ma le reazioni sui social alla sua soppressione superano spesso il limite.
Filippo Suessli
4 anni fa
L’indignazione per un’ingiustizia si è trasformata in un attacco senza limiti sui social, non è questa la battaglia che meritano gli animali

La sveglia, questa mattina, è suonata alle quattro e trenta. Mi sono alzato, l’ho incrociata, mi ha salutato. Ti amo anch’io, le ho risposto. Raccontarlo potrebbe minare la mia immagine, visto che lei ha cinque anni, pesa suppergiù quattro chili e ogni giorno perde così tanti peli che a me è bastata una volta per rimanere irrimediabilmente calvo.

Ma posso permettermi di raccontare i miei incroci mattutini con la mia gatta senza vergognarmi, pur essendo un uomo di mezza età, perché il filosofo francese Jacques Derrida ha sdoganato il tema più di 20 anni fa, quando aveva 67 anni. Incroci, i suoi, da cui è nata una serie di lezioni che ha preso forma nel saggio “L’animale che dunque sono”. Il padre del decostruzionismo vi indaga il confine che separa uomini e animali.

Un confine arbitrario che ci permette di soggiogare le altre specie di viventi. Se gli animali non fossero “altri” e/o “subalterni” sarebbe impossibile, o sicuramente ben più difficile, convivere con ciò a cui sottoponiamo chi vive con noi su questo pianeta. Sperimentazioni mediche, allevamenti intensivi, distruzione degli habitat. Lo stesso concetto di pet, di animale da compagnia, stride con qualunque immagine di parità tra le specie.

Poi arriva Sturn. Un cucciolone di quattro anni, cieco, sordo e soppresso perché abbaiava troppo. Sarà difficile se non impossibile capire fino in fondo perché si sia dovuto ucciderlo. C’era chi se lo sarebbe ripreso, ma la proprietaria ha scelto altrimenti, ha sottaciuto al veterinario la sua provenienza, ha sostenuto che la polizia avesse ordinato l’estrema cura e si è arrivati all’iniezione letale. Una storia che mi ha fatto imprecare non appena l’ho letta.

La vicenda di Sturn ha fatto letteralmente il giro d’Italia, sollevando indignazione e inchiostro. Perché nella vicina penisola quell’eutanasia sarebbe stata illegale. Oltre ai suoi handicap, Sturn infatti stava bene. Ai commenti su Facebook diretti alla proprietaria del cane, si sono sommati quelli diretti al veterinario, al canile che ha dato in affidamento Sturn. La pagina Facebook dello studio che ha praticato l’eutanasia è stata sommersa di recensioni negative e indignazione, tanto da spingere gli amministratori a chiuderla.

Ho parlato con la padrona, ho parlato con il veterinario, ho parlato con i responsabili del canile. L’indignazione di molti per la fine che ha fatto Sturn è la mia. Ritengo che in questa storia abbiano giocato un ruolo almeno l’egoismo e la leggerezza. Ma altrettanta indignazione si accende in me leggendo l’odio e la rabbia di migliaia di commenti apparsi sui social.

Alla donna e al veterinario è stata augurata la morte, di soffrire le pene dell’inferno. Sono stati definiti non umani (e qui, me lo si permetta, la contrapposizione umano animale suona strana). Qualcuno ha chiesto l’indirizzo di casa della donna per risolverla a modo suo. Citando un altro filosofo, molti hanno reagito come l’animale che ha perso l’intelletto, l’animale delirante e infelice di Nietzsche (che poi è l’uomo).

Non benissimo. Sarò lieto se l’iniziativa contro la soppressione di animali sani avrà successo, ma non sarà abbaiando su Facebook, con la gogna pubblica e il boicottaggio di uno studio veterinario che si cambierà la condizione animale. Anche quella, come tutte le lotte di parità, passa attraverso la fatica dei singoli (soprattutto di coloro che, come me, sono onnivori). Scegliendo ciò che si mangia, ciò che si indossa, le creme che ci si spalma sul viso. E sì, anche scegliendo le crocchette da dare alla propria gatta, evitando per esempio quelle che vengono sperimentate su altri animali, in gabbia, con un tubo infilato in bocca e una vita indegna.

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