Estero
Talebani: “Le donne devono fare i figli, non i ministri”
Keystone-ats
3 anni fa
Rinviata la cerimonia di insediamento del nuovo esecutivo ipotizzata finora in concomitanza con il ventennale dell’11 settembre. I Talebani assestano un nuovo schiaffo ai diritti delle afghane

“Una donna non può fare il ministro. È come se le mettessi al collo un peso che non può sostenere. Non è necessario che le donne siano nel governo, loro devono fare figli”. Mentre annunciano il rinvio della cerimonia di insediamento del nuovo esecutivo, ipotizzata finora in concomitanza con il ventennale dell’11 settembre, i Talebani assestano un nuovo schiaffo ai diritti delle afghane e alla comunità internazionale. “Le quattro donne che protestano nelle strade non rappresentano le donne dell’Afghanistan. Le donne dell’Afghanistan sono quelle che danno figli al popolo dell’Afghanistan, che li educano secondo i valori islamici”, ha detto in un’intervista a Tolo News il portavoce dei sedicenti studenti coranici, Sayed Zekrullah Hashim.

“Catastrofe generazionale”
Parole che confermano l’allarme dell’Unesco sul rischio di una “catastrofe generazionale” in materia di educazione. “In Afghanistan - ha dichiarato il direttore generale Audrey Azoulay - c’è in gioco la necessità assoluta di preservare i progressi raggiunti in materia di educazione, in particolare per le ragazze e le donne”. Dopo gli annunci dei primi divieti sullo sport e all’università, i mullah ribadiscono quindi la linea dura. Nella sua prima intervista a un media straniero dall’entrata in carica, rilasciata ad Al Jazeera, il nuovo premier dei Talebani, Mohammad Hassan Akhund, ha rivendicato che “il controllo dell’Emirato islamico sull’Afghanistan ha posto fine alla guerra e ai massacri”, promettendo che “porterà pace e stabilità”. Ma dall’Onu arriva una conferma delle notizie sulla violenta repressione attuata finora contro oppositori e manifestanti. “Siamo preoccupati che, nonostante le numerose dichiarazioni di amnistia, ci sono state accuse credibili di uccisioni per rappresaglia dello staff Andsf (le forze di sicurezza e difesa afgane appoggiate dall’Occidente, ndr) e la detenzione di funzionari che hanno lavorato per le precedenti amministrazioni”, ha spiegato l’inviata delle Nazioni Unite in Afghanistan, Deborah Lyons.

“Mantenere un dialogo”
Forte resta anche l’allarme sicurezza, rilanciato oggi dall’MI5, l’intelligence militare britannica, secondo cui occorre “essere vigili rispetto a un aumento del terrorismo ispirato alla conquista dei Talebani”. Ma nonostante le violenze, il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, sottolinea la necessità di “mantenere un dialogo” anche per “un sentimento di solidarietà con il popolo afghano”. Il rischio, avverte l’agenzia per lo sviluppo delle Nazioni Unite (Undp), è che il Paese piombi in uno stato di “povertà universale”, mentre per il World Food Programme 9 famiglie su 10 non hanno già abbastanza cibo.

Incertezze sul governo
I rapporti con la comunità internazionale restano sospesi tra condanna e dialogo. Il rinvio senza data della cerimonia di insediamento dell’esecutivo sembra testimoniare le incertezze sulla sua legittimazione all’estero. La Russia, tra i Paesi invitati insieme a Qatar, Turchia, Iran, Pakistan, e Cina, ha già fatto sapere che non intende partecipare. “Escludo un riconoscimento immediato delle nuove autorità afgane anche dai Paesi che non sono allineati con noi”, ha detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, sottolineando che un G20 straordinario dedicato all’Afghanistan servirà proprio a “coordinare le prossime azioni anche con i Paesi che non sono alleati”. I contatti con le nuove autorità di Kabul restano cruciali anche per le evacuazioni di stranieri e afghani che hanno collaborato con la coalizione. Dopo quello di ieri con oltre 100 persone a bordo, un secondo charter della Qatar Airways è partito oggi per Doha, trasportando anche 49 francesi con i loro familiari. E per favorire il coordinamento, l’Ue lavora all’ipotesi di creare un ufficio temporaneo che serva da antenna nella capitale afgana. Un’iniziativa che, precisano da Bruxelles, sarebbe di carattere operativo e lontana da ogni tipo di riconoscimento politico.

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