Estero
Kim dichiara guerra ai jeans e ai film stranieri
Redazione
3 anni fa
Lo strumento è una legge varata a maggio per neutralizzare le minacce del “pensiero reazionario” che include sanzioni drastiche: pena di morte o i campi di lavoro e di rieducazione

La Corea del Nord lancia una guerra a tutto campo ai jeans attillati, ai tagli di capelli “non convenzionali” e ai film stranieri, soprattutto le temutissime soap opera sudcoreane. Lo strumento è una legge varata a maggio per neutralizzare le minacce del “pensiero reazionario” che include sanzioni drastiche: pena di morte o i campi di lavoro e di rieducazione. Lo stesso Kim Jong-un ha scritto lo scorso mese una lettera alla Lega della gioventù, riportata dal Rodong Sinmun, sollecitando la repressione di “condotte sgradevoli, individualiste e anti socialiste” tra i giovani per fermare “il linguaggio straniero”, le acconciature e i vestiti che ha descritto come “pericolosi”, anzi “veleni” per la tenuta della società.

Il paradosso infatti è che, a dispetto della ventilata chiusura totale verso l’esterno come il blocco di Internet, non è raro trovare a Pyongyang, soprattutto tra le giovani leve, persone informatissime sul calcio italiano e il campionato di Serie A o sul basket della Nba. Il leader supremo, nel suo messaggio, ha messo al bando i jeans attillati e le pratiche come il piercing ritenuti simboli dello “stile di vita capitalista”, esortando a fare di più per impedire alla “cultura capitalista” di conquistare il Paese. Pochi giorni prima, i moniti di Kim erano stati anticipati dal Rodong Sinmun, la voce del Partito dei Lavoratori, che aveva espresso preoccupazione per i giovani nordcoreani che abbracciano sempre più le tendenze della moda occidentale: “Dobbiamo diffidare del minimo segno dello stile di vita capitalista e lottare per sbarazzarcene”, aveva ammonito.

Secondo il Daily NK, sito di news basato a Seul e specializzato sulle vicende del Nord, il campo di rieducazione sarebbe la pena comminata a tre adolescenti dello Stato eremita ‘colpevoli’ di essersi acconciati i capelli alla maniera dei gruppi sudcoreani K-pop e di avere indossato pantaloni corti sopra le caviglie. La sanzione, per chi sia sorpreso in possesso di grandi quantità di prodotti audiovisivi da Corea del Sud, Usa e Giappone, potrebbe però essere anche la pena di morte, mentre solo la visione porterebbe al campo di prigionia fino a 15 anni. Il fenomeno delle interferenze esterne non risparmia neanche la nomenclatura. Pochi anni fa, secondo l’intelligence di Seul, il figlio di Choe Ryong-hae, ritenuto il numero due del leader, fu sorpreso con cd-rom di film sudcoreani: il padre, per placare l’ira del leader, decise di passare alcuni mesi in un campo di rieducazione, tornando in pubblico poi visibilmente claudicante.

Kim intanto è riapparso in pubblico dopo 29 giorni alla riunione del politburo tenuta la scorsa settimana, sollecitando una riunione “urgente” del plenum, la terza del 2021, allo scopo di affrontare “i problemi urgenti” che il Paese ha di fronte nell’era della pandemia. I media statali hanno fornito sabato soltanto un breve resoconto dell’incontro, in cui il giovane generale ha parlato dei risultati raggiunti dal congresso del Partito dei Lavoratori di gennaio, sottolineando la necessità di convocare una riunione plenaria del Comitato centrale del partito. Ci sono ancora da “risolvere le questioni in sospeso, i problemi urgenti per l’economia e la vita delle persone”, da tenere al riparo dalle temute influenze e ingerenze esterne.

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