
"Voi ieri non c'eravate in quella sala, è stato il miglior accordo possibile". Lo ha affermato Maros Sefcovic, l'uomo del negoziato con gli Stati Uniti, rivolgendosi ai giornalisti europei ma, implicitamente, soprattutto ai tanti che giudicano l'intesa sui dazi una capitolazione dell'Europa nei confronti di Donald Trump. L'accordo siglato da Ursula von der Leyen piace a pochi. I più hanno scelto la linea della cautela ma chi non lo ha fatto, come la Francia, ha parlato di "giorno più buio" e di "sottomissione" agli Usa. E perfino Berlino, dopo aver letto meglio i termini dell'accordo, ha lanciato l'allarme.
"Si poteva fare di più?"
"Si poteva fare di più?". Una domanda come queste affiora in ogni cancelleria europea, in ogni segreteria di partito, tra i ceo delle grandi imprese e, chissà, forse anche tra qualche commissario. I dati, per ora, descrivono un patto fortemente asimmetrico che, se da un lato ha evitato il 30% minacciato da Trump, dall'altro ha incluso diverse concessioni rimaste nei giorni scorsi nei cassetti di Palazzo Berlaymont. E su alcuni settori chiave, come quello dei vini o quello dei farmaci, il bicchiere appare ai più mezzo vuoto.
"L'Ue si è sottomessa"
Emmanuel Macron, primo sostenitore di una linea muscolare con Washington, finora ha scelto il silenzio. Ha parlato, eccome, il suo primo ministro. "È un giorno buio quando un'alleanza di popoli liberi, uniti per affermare i propri valori e difendere i propri interessi, decide di sottomettersi", è stato il tweet di François Bayrou.
"Trump si è mangiato Ursula a colazione"
Non ha destato sorprese la posizione di Viktor Orban, anti-Ue anche quando Bruxelles fa felice il suo miglior alleato, Trump. "L'intesa è peggiore di quella siglata tra Usa e Regno Unito. Trump si è mangiato Ursula a colazione", ha attaccato il premier ungherese.
"Non sono soddisfatto"
Meno scontata è stata la mezza giravolta di Friedrich Merz. Pochi minuti dopo l'intesa il cancelliere tedesco celebrava il blitz in Scozia della sua connazionale. Meno di 24 ore dopo ha ammesso di "non essere soddisfatto", prevedendo "un danno considerevole all'economia" teutonica. Donald Tusk, pilastro del Ppe come von der Leyen, ha scelto di tacere. In tanti lo hanno imitato. Pedro Sanchez, non certo il miglior amico di Trump, ha detto di "sostenere l'accordo, ma senza entusiasmo". Giorgia Meloni ha ribadito la sopportabilità del 15% per le imprese italiane ma ha rimandato il suo giudizio definitivo.
Il testo finale atteso per venerdì
La stretta di mano di Turnberry deve essere ancora tradotta in un testo scritto e concordato, punto per punto, dalle due sponde dell'Atlantico. Il testo finale dovrebbe arrivare entro il 1 agosto. Fino ad allora si ballerà. E la Casa Bianca, che ha definito l'intesa "colossale", difficilmente farà concessioni.
Incognita contromisure
I Rappresentanti Permanenti dei 27 torneranno a vedersi sul dossier nelle prossime ore. Il momento più delicato sarà quello del via libera alla sospensione - che si ipotizza sine die - delle contromisure che l'Ue avrebbe messo in campo a partire dal 7 agosto. È pressoché impossibile che il via libera non sia concesso. Ma al tavolo, in quell'occasione, tutti i malumori emergeranno con chiarezza. "Sospendiamo i controdazi dal 4 agosto ma le misure restano comunque pronte e riattivabili", hanno puntualizzato dall'esecutivo Ue. Anche a Palazzo Berlymont, in occasione del Collegio dei commissari, si è parlato dell'intesa che, secondo von der Leyen, ha evitato il baratro e il crollo del mercato europeo. Per ora la compattezza dei commissari attorno alla loro presidente sembra reggere. Eppure, nelle settimane scorse, anche tra i funzionari europei ci si augurava una maggiore assertività nella trattativa. Il patto, inoltre, nella sua asimmetria non sembra rispettare i parametri del Wto. Accontentando, anche sotto questo aspetto, chi come Trump vorrebbe cestinare ogni regola del multilateralismo.