L'intervista
Da Rancate al giro del mondo in sella a una bici. "Il momento più bello? In cima a un passo a 4’600 metri"
Redazione
6 ore fa
Il ticinese Daniele Savarin ripercorre il viaggio che lo ha portato a toccare tre continenti. “Nulla di prenotato: lungo la strada parecchia gente mi ha invitato a casa e tantissime volte ho dovuto piantare la tenda".

Ciclista, viaggiatore ,avventuriero. Sono solo alcuni dei nomi con cui è possibile descrivere Daniele Savarin, fresco di rientro da un anno e mezzo di viaggio che lo ha portato a fare il giro del mondo in bicicletta. Partito da Rancate il 4 aprile del 2024, il ticinese aveva in testa un itinerario, che doveva condurlo in Tibet. Strada facendo, però, il programma è mutato. “Il progetto Tibet è sfumato, perché avvicinandomi al confine con il Nepal, e quindi in direzione della Cina, sono venuto a sapere che non era possibile pedalarci, poiché il governo del Dragone impone delle restrizioni ai turisti”, racconta Savarin a Ticinonews. “Ho quindi dovuto riarrangiare un po’ il mio percorso e invece di andare verso nord ho continuato a seguire il corridoio indiano, spostandomi verso est”.

L'intervista

E hai fatto praticamente il giro del mondo.
“Esatto, dopo un po’ una cosa tira l'altra e io non ne ho mai abbastanza. Mi sono ritrovato ad arrivare fino a Singapore, ad attraversare l'oceano, a fare il coast to coast americano, e a rientrare poi in Europa con un'altra nave, fino al ritorno in Svizzera”.

Riguardo questa decisione di andare in bicicletta, puoi spiegarci come ci si organizza? Perché immagino che il bagaglio debba essere poco. Hai usato sempre la stessa bici?
“Sì, mai cambiata. È il mio cavallo da battaglia (ride, ndr). Io sono partito senza troppa organizzazione, poi pedalando ci si accorge di cosa diventa veramente essenziale. Infatti, è arrivato anche un mio cugino sul percorso a prendere del materiale che mi pesava troppo: sono partito con una batteria gigantesca e ho scoperto che, alla fine, in tutto il mondo l'elettricità non manca”.

Sul sito dove racconti del tuo viaggio in un passaggio c’è scritto: "Un ingranaggio importantissimo della bici perso in Cina mentre rimontavo la ruota posteriore mi ha costretto a pedalare per ben 1’000 km senza staccare i piedi dai pedali per non far scendere la catena". 1’000 km con i piedi sui pedali. Come si fa? È complicatissimo.
“Esatto, ciò mi ha creato una difficoltà non indifferente. In pratica, l’ingranaggio in questione serve al sistema ruota libera della bicicletta, ma non funzionava: ogni volta che io bloccavo i pedali, capitava un problema con la catena”.

E quindi sei andato avanti così. Vuoi parlarci di qualche altro oggetto che per te è significativo?
“Penso a una sciarpa che mi hanno dato in India, in un tempio Indù in cui mi sono recato con un ‘baba’, che è un padre indiano, un cosiddetto ‘santone’. L'ho conosciuto per strada; ho notato questo signore tutto vestito di arancione con delle borse, che stava facendo in pratica la stessa cosa che stavo facendo io. Andava in pellegrinaggio in un luogo abbastanza famoso, anche lui in bicicletta e ho deciso di spendere tre giorni con lui. Mi ha portato a dormire nei templi”.

A proposito di dormire, tu come ti organizzavi?
“Nulla di prenotato; lungo la strada parecchia gente mi ha invitato a casa, e tantissime volte ho dovuto piantare la tenda, perché magari mi trovavo in zone abbastanza remote in cui non c'era la possibilità di andare in hotel”.

Hai mai avuto paura?
“Qualche volta sì, è capitato”.

Per cosa?
“Dopo l'Uzbekistan, stavo viaggiando con due ragazzi di Torino e abbiamo deciso di fare un pezzo di strada in Tagikistan sull'alto piano, a 4’000 metri. Praticamente, uno dei due ragazzi è rimasto indietro e non l'abbiamo più visto. Il tempo passava ed era quasi buio. Non ci ha più raggiunti, perché ha preso due volte la strada sbagliata. Abbiamo quindi dovuto chiamare un 4x4, che ha caricato le bici sulla macchina. Siamo andati a fare un giro con quel mezzo, ma niente, non si trovava. L'autista aveva fretta perché stava finendo la benzina ed è scattato un po’ il panico, perché era diventato buio. Le temperature a quelle altitudini di notte arrivavano a -10 gradi e il nostro compagno non disponeva di una tenda, perché ce l'aveva il suo amico. E il cellulare non funzionava. Alla fine però l'abbiamo trovato, completamente al buio: attorno alle 22, abbiamo notato questa luce ed era lui che tornava da noi. Ci siamo abbracciati”.

Ci hai raccontato un momento difficile, vuoi descriverci invece il più bello?
“Il più bello è stato senz'altro quando siamo arrivati in cima a questo passo a 4’600 metri. È stata una corsa contro il tempo, perché dovevamo oltrepassare l’ostacolo prima dell'arrivo dell'inverno. Il giorno in cui siamo arrivati in cima è quasi scappata la lacrima, perché eravamo veramente soddisfatti. Siamo passati proprio ‘per il buco della serratura’, infatti il giorno dopo ha nevicato e la strada è divenuta impraticabile. Ma noi eravamo già dall'altra parte”.

Nel tuo viaggio hai fatto anche il coast to coast negli USA. Com'è viaggiare in questi continenti che sono completamente differenti l'uno dall'altro, anche a livello di popolazione?
“In America ci sono diverse zone. Nella prima è stato bello campeggiare; c'era molta natura, foreste in cui nascondersi e animali strani come i serpenti. Abbiamo attraversato anche una regione piena di orsi, con cartelli di attenzione ovunque, ma alla fine è andato tutto per il meglio”.

Tu sei sbarcato in Europa, hai attraversato la Francia, poi il Vallese, e in seguito il momento più difficile è stato quello in cui dovevi salire la Nüfenen, giusto?
“Esatto. Sono arrivato ai piedi del passo che la mia attrezzatura non funzionava tanto bene, la bici aveva seri problemi. Ho dovuto praticamente spingerla per 13 km in salita. Non è stato facile, ho impiegato una giornata intera".

Ma sei comunque arrivato in Ticino. E adesso? Ti fermi qui per un po’?
“Sì, per qualche tempo rimarrò con i piedi per terra, anche se in testa le idee continuano a frullare" (sorride, ndr).