Sciopero del 14 giugno
"Chi si dice 'femminista' deve rendersi conto di cosa vuol dire questo termine"
Il corteo dello sciopero delle donne del 14 giugno 2019. ©Gabriele Putzu
Il corteo dello sciopero delle donne del 14 giugno 2019. ©Gabriele Putzu
Daniele Coroneo
10 mesi fa
Intervista a Lisa Boscolo, del Collettivo per lo sciopero femminista, in vista della manifestazione del 14 giugno.

Fra poche settimane le strade di diverse città della Svizzera si tingeranno nuovamente di viola. A quattro anni esatti di distanza, il prossimo 14 giugno torna lo sciopero femminista. Le richieste delle scioperanti sono numerose e certamente ambiziose e comprendono, fra le altre cose, parità di salario, abolizione del sistema previdenziale dei tre pilastri a favore di un unico pilastro, misure contro discriminazioni e violenze (non solo verso le donne), abolizione del sistema di assicurazione sanitaria privata con copertura dei costi legati alla salute riproduttiva e sessuale e l'introduzione nell'educazione di un approccio femminista intersezionale, ovvero che tenga conto delle interconnessioni di opportunità e problemi fra categorie sociali quali per esempio genere, etnia, nazionalità, religione, classe sociale.

Al Collettivo per lo sciopero aderiscono singole persone, gruppi di interesse, sindacati e partiti e movimenti di sinistra. In occasione dello sciopero del 2019, numerose donne di centro e destra hanno preferito non aderire alla manifestazione, giudicata troppo sbilanciata politicamente. Di questo e delle richieste delle scioperanti abbiamo voluto parlare con Lisa Boscolo, che siede nel Collettivo per lo sciopero.

Tornate in piazza con un nuovo sciopero dopo l’ultima, grande manifestazione del 2019 perché ritenete che da allora non si sia fatto abbastanza per giungere alla parità di genere. Che cosa vi aspettavate di ottenere in concreto in questi quattro anni e che non è stato raggiunto?

Nel 2019 abbiamo portato un manifesto molto globale, che toccava più ambiti della vita delle donne. Non chiedevamo quindi solo la parità salariale, per quanto questa sia importante. È chiaro che ci vuole del tempo: per questo è importante essere di nuovo in piazza per mostrare la nostra impazienza e la nostra rabbia. È vero che nel frattempo qualcosa è cambiato e sono stati compiuti dei piccoli passi: c’è stato un miglioramento delle condizioni di lavoro del personale infermieristico (composto soprattutto da donne) ed è stato approvato il matrimonio per tutti. Ancora però non è abbastanza e abbiamo anche fatto qualche passo indietro. È il caso delle pensioni: nelle riforme degli ultimi anni abbiamo visto un peggioramento della situazione pensionistica per le donne.

 

Quattro anni sono comunque un periodo brevissimo rispetto a una storia plurimillenaria che vede le donne confrontarsi alla disparità.

In questi quattro anni c’è stata una pandemia che ha rimesso in discussione alcuni diritti e che ha però riacceso i riflettori su una certa invisibilità delle donne. Pensiamo al lavoro di cura nelle famiglie: questo andrebbe riconosciuto maggiormente. E a breve termine intravedo nuove difficoltà in Ticino: in un contesto in cui c’è un decreto Morisoli che impone un controllo molto rigido sulla spesa, non possiamo più fare avanzare certi progetti, per esempio nell’educazione o nelle pari opportunità.

 

Fra le rivendicazioni che presentate, a suo avviso qual è quella più pressante?

Come nel 2019, anche quest’anno il manifesto femminista svizzero tocca più punti. Non ce n’è uno più pressante di altri. Va considerato tutto, nel suo insieme.

 

Gli uomini possono avere un ruolo nel sostenere la causa femminile?

Noi crediamo che gli uomini possano essere solidali e femministi. Anzi: anche loro devono essere femministi! C’è da cambiare tutta la società, che oggi impone pure il modello dell’uomo virile e forte, che deve portare la pagnotta a casa. Anche gli uomini subiscono degli stereotipi. In Ticino all’interno del Collettivo per lo sciopero ci sono pochissimi uomini, ma per il 14 giugno abbiamo per loro diverse proposte.

 

Serve scendere in piazza?

Assolutamente. Mostra la forza e la potenza di tutte le persone stufe di non sentirsi rispettate e di non essere riconosciute in quanto persone.

 

Nota delle differenze generazionali nel mobilitare le donne?

Il nostro Collettivo è molto intergenerazionale. Questo è molto bello: ci sono donne che hanno vissuto gli scioperi del 1991 e del 2019 e c’è chi è al suo primo sciopero. Questa diversità fa sì che le nostre rivendicazioni siano complete.

 

Quello del 14 giugno sarà uno sciopero nazionale. Fra pochi mesi si terranno le elezioni federali. A questo appuntamento elettorale lei guarda più con ottimismo o preoccupazione?

Nel 2019 lo sciopero ha dato una spinta per una maggiore rappresentatività a livello federale. Forse anche quello di quest’anno sarà un impulso in questo senso. È chiaro che è sì importante migliorare la rappresentatività di genere, ma lo è ancora di più lavorare sulle politiche di genere.

 

Lei siede in Gran Consiglio fra i banchi del PS. Molte donne di centro e destra, pur sostenendo un’effettiva parità di genere, hanno preferito non partecipare allo sciopero delle donne del 2019. Come mai secondo lei? Il movimento femminista può dirsi davvero completo senza di loro?

Non perché sei donna sei automaticamente femminista. Il movimento femminista è l’unico vero movimento che punta sull’emancipazione della persona. Molte donne di destra non sono sensibili alla causa della parità uomo-donna, o di chi non si identifica in uno dei due generi binari. Se c’è credibilità nel definirsi “femminista”, ben vengano tutte le sensibilità, però chi si dice “femminista” deve rendersi conto di cosa vuol dire questo termine. Tengo però a precisare che all’interno del Collettivo ci sono sensibilità diversificate, con la presenza di donne che provengono da aree non per forza di sinistra.

 

Ritiene che le vostre rivendicazioni rappresentino anche le donne che non votano rosso-verde?

Se oggi ci sono donne che hanno un ruolo di potere, per esempio un ruolo professionale da quadro, è grazie al femminismo. Stiamo rompendo il famoso “soffitto di cristallo” grazie alla spinta del femminismo.

 

Quello del 2019 era lo “sciopero delle donne”, quello di quest’anno è lo “sciopero femminista”. C’è un motivo dietro a questo cambio di nome?

È una scelta avvenuta a livello svizzero. Il manifesto di quest’anno non parla solo di “donne”, ma amplia lo spettro: si parla per esempio di congedo parentale suddiviso fra i partner della coppia, o di discriminazione riferita anche a chi non si identifica in un genere binario.

 

Per il 14 giugno si attendono cortei in tutta la Svizzera. In Ticino sfilerete a Bellinzona. In base a quali criteri potrete definire la giornata un “successo”?

Sicuramente vedere tanta gente sarà importante per misurare la forza delle nostre richieste. Ma il successo lo peseremo nei prossimi anni, quindi se ci saranno delle riforme e un cambio di mentalità. Nel frattempo, essere presenti in piazza con lo sciopero ci permette di mettere in luce i temi che abbiamo a cuore.