
Per la Svizzera il tempo stringe. Tra soli tre giorni entrerà in vigore un’imposizione doganale del 39% sulle esportazioni verso gli Stati Uniti. Oggi il Consiglio federale, al termine della sua seduta straordinaria virtuale, ha comunicato di voler presentare alle autorità Usa “un’offerta più interessante”. I dettagli verranno illustrati la prossima settimana alla Commissione politica estera del Consiglio degli Stati, presieduta dal democentrista Marco Chiesa. “Lunedì 11 agosto avremo una seduta a Berna e verremo informati sulle novità”, ha detto a Ticinonews il “senatore” ticinese. “Già sappiamo che c’è stata una videoconferenza tra l’Esecutivo e le varie aziende, perché si tratta di trovare una nuova negoziazione con gli Stati Uniti”. E secondo Chiesa, proprio le aziende giocheranno un ruolo importante.
"Assisteremo a un pressing da parte del Governo"
Tra i possibili punti di discussione, negli scorsi giorni il direttore del Dipartimento federale dell’economia, Guy Parmelin, aveva citato alla RTS la possibilità di acquistare dagli Usa gas liquefatto, o di effettuare ulteriori investimenti negli Usa. Il contenuto della proposta rimane tuttavia segreto, ha indicato a Keystone-ATS il "ministro" democentrista. E così rimarrà anche dopo l’incontro con la Commissione politica estera perché – ci ha spiegato Chiesa – “all’interno di una trattativa nessuno deve sapere in anticipo i passi che farà il nostro Paese”. Secondo il “senatore”, nei prossimi giorni “assisteremo a un pressing da parte del Governo e posso immaginare che si recheranno a Washington”. Stando a nostre informazioni, si starebbe già preparando il viaggio.
"Una partita che altri hanno giocato prima di noi"
Tuttavia, la missione del Consiglio federale appare molto difficile, dato che diverse fonti americane danno i nuovi dazi doganali come praticamente definitivi. “È una partita che altri Paesi hanno giocato prima di noi”, ha aggiunto ancora Chiesa. “Mi riferisco in particolare alla Gran Bretagna, la quale ha avuto un trattamento interessante, ovvero dazi al 10%, senza concedere molto. Credo invece che noi dovremo farlo, alla luce della telefonata della presidente della Confederazione e dell’attuale impasse”.
Mazzoleni: "La Svizzera incarna un modello antagonista"
Ma come si è giunti alla situazione attuale di stallo tra Svizzera e Stati Uniti? Secondo il politologo Oscar Mazzoleni, le ragioni sono molteplici. "Un elemento chiave è legato alle differenti modalità di governo presenti nei due Paesi", afferma Mazzoleni. "In America vediamo un accentramento personale dei poteri da parte di Trump, mentre dall’altra parte abbiamo un sistema di Governo collegiale, dove non esiste un vero e proprio presidente e dove tutto si negozia. Non è facile improvvisarsi in questo scambio. Si dà la colpa alla presidente della Confederazione, attribuendole un potere che non ha”. Un altro aspetto da considerare "è che per gli Usa la Svizzera è anzitutto Davos, ovvero un incontro internazionale di imprese e di ciò che molti ritengono le élite liberali globali, contro cui Trump si è scagliato in tutti i modi". La Svizzera "incarna questo modello della globalizzazione che il tycoon ritiene essere penalizzante per gli Stati Uniti".
"Si punta a una soluzione negoziale di compromesso"
Nella nota governativa si parla di “nuova fase”, con l’intenzione di presentare un’offerta “più interessante”. Non vi è il rischio di giungere a un compromesso che penda maggiormente a favore degli Usa? “Anzitutto, la Svizzera è da sola, in una posizione più debole rispetto, ad esempio, alla Gran Bretagna. È quindi difficile immaginare ritorsioni che potrebbero ulteriormente far arrabbiare Trump”. Per questo motivo, la Svizzera “punta a una soluzione negoziale di compromesso, ma anche di concessioni ulteriori, ritenendo di non poter competere contro la maggiore potenza economica e militare mondiale”, termina Mazzoleni.