
I nuovi requisiti di capitale per UBS previsti dal progetto presentato venerdì dal Consiglio federale sono tutt'altro che sproporzionati e sono il prezzo da pagare per avere la sede in Svizzera, qualcosa che ha un valore. Lo sostiene Aymo Brunetti, professore di economia a Berna ed ex capo della Direzione della politica economica della Seco, la Segreteria di Stato dell'economia. "A mio avviso non si tratta di un aumento spettacolare del capitale", afferma l'esperto in un'intervista pubblicata oggi dal periodico economico romando L'Agefi. "Lo considero piuttosto un compromesso tipicamente svizzero. La deduzione totale delle partecipazioni delle controllate estere risolve un problema - quello della capacità di intervento in caso di stabilizzazione - che porta a un certo accumulo di capitale". Inoltre, "questa normativa aumenta leggermente i costi di espansione all'estero per UBS, il che può ridurre i rischi per la Svizzera".
Non tutto è perfetto
"Ritengo che sia un'ottima combinazione e spero vivamente che non venga annacquata in parlamento", prosegue il 62enne. "Ciò ridurrebbe il margine di manovra in caso di stabilizzazione. UBS è oggi una delle banche meglio capitalizzate al mondo, e a ragione, perché il rischio che rappresenta per la Svizzera è immenso. Certo, il rendimento del capitale proprio è un po' più basso rispetto ai suoi concorrenti stranieri, ma direi semplicemente che questo fa parte del prezzo della sede in Confederazione, una sede che offre molti vantaggi economici". Non tutto è comunque ancora perfetto. "La cosa più importante è che una banca in difficoltà sia effettivamente in grado di ritirarsi dal mercato: ci sono vari modi per farlo, ma se parliamo in modo chiaro e diretto, deve essere possibile per un istituto fallire. Non ci siamo ancora arrivati. E perché questo funzioni al 100%, la Svizzera ha ancora bisogno di un sistema pubblico di sostegno alla liquidità".
La mancanza di alternative in caso di crisi
"Nella prossima crisi non ci saranno alternative", argomenta l'economista. "Nessuna fusione con un'altra banca elvetica o un'acquisizione da parte di un gigante come JP Morgan. Immaginate l'esame approfondito dei conti, ci vorrebbero mesi per controllare tutto, è assolutamente inimmaginabile. Per una banca in fallimento rimangono solo due opzioni, la nazionalizzazione o la risoluzione". Nel primo caso, date le dimensioni attuali di UBS, "la Svizzera sarebbe esposta a rischi per diverse centinaia di miliardi di franchi". Che cosa dire - chiede il giornalista della testata ginevrina - dei nuovi poteri conferiti alla Finma, l'autorità federale di vigilanza dei mercati finanziari? "Onestamente, trovo tutte queste misure positive, anche se rimangono secondarie. Inoltre, non sono estreme", risponde l'intervistato. "Nessuno ama la polizia e la Finma, ma un poliziotto deve avere i mezzi per agire, altrimenti l'intera credibilità del sistema crolla. È quello che è successo in parte con Credit Suisse". Ma non sarà che i parlamentari annacqueranno il progetto? "Spero che ciò non accada", replica l'accademico con studi all'università di Basilea. "Naturalmente UBS cercherà di opporsi a determinati requisiti patrimoniali, ma alla luce di ciò che la Svizzera ha vissuto, le giustificazioni delle misure annunciate dalla Confederazione sono abbastanza convincenti. E spero anche che il Parlamento dia prova di discernimento e non cerchi di indebolire questa riforma", conclude lo specialista.