Economia
Uber files: lobbing e controversie
Foto Shutterstock
Foto Shutterstock
Federico Marino
2 anni fa
Una nuova inchiesta condotta da diversi giornali internazionali rivela le strategie adottate dal colosso dei trasporti per alimentare la sua straordinaria crescita

Ad un consorzio di giornali internazionali nella giornata di domenica sono stati forniti oltre 124’000 documenti trafugati a Uber che mostrano come l’azienda statunitense - dietro il suo amministratore delegato Travis Kalanick - abbia favorito la sua espansione con metodi di lobbing anche oltre i limiti dell’etica. I documenti sono stati forniti da Mark MacGann, ex-lobbista per l’Europa, l’Africa e il Medio Oriente: “sono disgustato e mi vergogno. Abbiamo venduto una bugia”. Non è ancora chiaro se le misure in questione costituiscano reato e potranno portare all’apertura di grosse indagini.

Lobby politica ai massimi livelli
Le pressioni politiche sono arrivate ai massimi vertici europei, riporta l’inchiesta del Guardian. Tra il 2014 e il 2016 queste toccarono il primo ministro francese Emmanuel Macron, che promise all’azienda che avrebbe modificato le regolamentazioni sui trasporti per favorire Uber. I contatti stretti con la commissaria europea per la concorrenza Neelie Kroes valsero a Uber la sua influenza sul governo dei Paesi Bassi. Va detto che in altri casi i tentativi di pressione incontrarono una certa resistenza: Olaf Scholz, sindaco di Amburgo al tempo, respinse i lobbisti di Uber insistendo che ai guidatori venisse pagato un salario minimo; fu definito “un vero comico” in seno all’azienda. I legami arrivavano fino a Biden, all’epoca vice-presidente Usa e sostenitore di Uber. Kalanick, in occasione di un ritardo di Biden ad un incontro tra i due al Wef, gli avrebbe fatto sapere che “ogni minuto di ritardo sarebbe stato un minuto in meno con lui”; Biden avrebbe poi emendato dal suo discorso la parte che faceva riferimento al Ceo di una compagnia che “avrebbe dato a milioni di lavoratori la libertà di lavorare quante ore vogliono, gestendo la loro vita come vogliono”.
Tra gli altri metodi adottati da Uber ci sarebbero incontri a porte chiuse con politici o personaggi di rilievo, oltre che l’offerta a queste figure di quote finanziarie di rilievo che li avrebbero trasformati in “investitori strategici”.

Il Kill switch
Tra i “files” spuntano anche conferme delle misure tecnologiche che l’azienda avrebbe adottato per sfuggire ai controlli. L’azienda aveva fatto installare su tutti i suoi computer il “Kill switch”, un sistema atto a rendere immediatamente inaccessibili i computer di una sede, nel caso in cui fosse avvenuto un controllo delle autorità. Il sistema in questione sarebbe stato attivato in almeno 12 occasioni durante operazioni in Francia, Paesi Bassi, Belgio, India, Ungheria e Romania.

La “strategia della controversia”
Un ulteriore punto saliente degli Uber files è la strumentalizzazione dei guidatori o di loro eventuali proteste. Nel 2015-2016 le proteste dei tassisti francesi diventarono particolarmente violente, tanto da portare i conducenti Uber a temere per la loro incolumità. Nonostante ciò, Kalanick decise che le migliaia di autisti parigini di Uber avrebbero dovuto organizzare una contro-protesta. La decisione sarebbe stata legata ad una strategia di sfruttamento della violenza per “continuare a sfruttare la controversia”. Queste tattiche sarebbero state adottate in Belgio, Paesi Bassi, ma anche Italia e Svizzera.
Sebbene nel nostro paese non ci siano mai stati casi di violenza, intorno al 2016 aveva fatto scalpore la protesta dei tassisti, che si erano recati in 450 in corteo a Berna. Altre manifestazioni avevano avuto luogo anche a Ginevra e Zurigo. La risposta del servizio californiano non si era fatta attendere: un abbassamento del 20% delle tariffe.

Contestualizzazione e nuovo modello economico
Tuttavia, va affermato anche che Uber tra il 2013 e il 2015 era riuscito a presentarsi come una startup capace di migliorare l’inefficiente e anticoncorrenziale sistema dei taxi, offrendo servizi migliori e tariffe più vantaggiose. Molti politici vi videro la possibilità di riformare un settore spesso poco competitivo e dominato da monopoli chiusi come quello dei tassisti.
La crescita che ha visto l’azienda negli anni 2010 non è solamente dovuta a una buona idea e al lobbing: la strategia finanziaria aggressiva adottata sotto Kalanick, con pesanti finanziamenti e prezzi non sostenibili sul lungo periodo, secondo molti costituì una forma di concorrenza sleale.
L’azienda ha affermato che dopo il cambio al suo vertice nel 2017, anche le politiche di Kalanick sono state abbandonate. In ogni caso, Uber è riuscita a tracciare la via per una “gig-economy”, un modello liberale caratterizzato dall’impiego temporaneo di lavoratori “indipendenti”, come nel caso dei delivery di cibo.

E in Svizzera?
La strategia espansionistica aggressiva di Uber non ha risparmiato la Svizzera, dove in alcuni casi si è arrivati fino in tribunale. È stato il caso del canton Ginevra, che si è cimentato in una disputa giuridica con l’azienda californiana iniziata nel 2019. Il Tribunale Federale ha deliberato il mese scorso che i conducenti di Uber vanno considerati come impiegati, e non indipendenti: l’azienda dovrà conformarsi alla legge sui taxi e le vetture con conducente, con le direttive sulle misure sociali e le condizioni di lavoro che ne conseguono. Una sentenza simile era stata pronunciata a gennaio a Zurigo.
Attualmente Uber non è disponibile in Ticino. Sebbene in passato sia emersa la proposta di portare il servizio nel nostro Cantone, hanno visto la luce solamente dei progetti paralleli non particolarmente longevi.

© Ticinonews.ch - Riproduzione riservata