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Metaverso: origini, tratti chiave e sfide
un anno fa
a cura di Lugano Living Lab - Città di Lugano e Istituto di Media e Giornalismo - USI

 

Dire cosa sia il metaverso non è così facile come sembra. Sebbene non sia un termine affatto nuovo, la sua realizzazione e il suo stesso concetto appaiono essere ancora indefiniti. In poche parole, lo si può cercare di descrivere come un universo digitale immersivo, un luogo in realtà virtuale la cui finalità nell’immaginario comune è quella di trasportarci lontano dal mondo fisico. Verso uno spazio parallelo. Un'esperienza immersiva, che cerca di superare i confini dello schermo del telefono.

 

Se l’idea del metaverso come la conosciamo nella letteratura, nei film e nelle serie TV, non è cambiata di molto, la sua rappresentazione si è invece evoluta insieme alla tecnologia e all’estetica moderna. Da chip nel cervello attivati grazie a un floppy disk a occhiali ipertecnologici, i cosiddetti smart glasses, che sono la porta per vasti spazi digitali. Ma anche se l’aspetto del metaverso è cambiato, il suo spirito non è mai davvero mutato del tutto: una realtà virtuale immersiva dove incontrarsi, poter fare acquisti, seguire un concerto e altro ancora.

 

Ai suoi albori, il termine metaverso suscitava un immaginario negativo. In Matrix (1999), il film di fantascienza delle sorelle Wachowski, il protagonista Neo interpretato da Keanu Reeves è intrappolato in una realtà virtuale condivisa, dalla quale deve cercare di fuggire per riscoprire il mondo reale. Al contrario oggi il metaverso, forse, ha acquistato anche accezioni positive come forma avanzata di intrattenimento, soprattutto se si pensa alla sua natura videoludica. Eppure, al cinema e nella letteratura la sua rappresentazione è ancora ben contraria da quella che Mark Zuckerberg, CEO di Meta, ha avanzato tramite il suo progetto Horizon Worlds. 

 

Le origini del termine

È Neal Stephenson che nel 1992 con Snow Crash, un romanzo in stile cyberpunk, utilizza per la prima volta il termine metaverso. Anche con Stephenson, tuttavia, il significato stesso della parola che ha coniato non era del tutto evidente. In un contesto di un’America ultra capitalista e guidata dalle multinazionali, il metaverso viene descritto come una realtà virtuale in 3D. Una sorta di sogno condiviso grazie a una rete mondiale a fibre ottiche, che però si scopre essere pericoloso per chi ci si immerge. Il significato di metaverso potrebbe anche essere dedotto dal suo nome stesso, soprattutto se scomposto. Si puo’ infatti far riferimento all’etimologia del termine “meta”, dal greco, oltre, dopo, per riferirsi ad una situazione di evoluzione e cambiamento, con accezione di superiorità e miglioramento. “Verso” invece fa riferimento a universo, in questo caso alternativo e/o immaginario. Tuttavia, il concetto di un mondo virtuale che sostituisce quello reale, è esistito ben prima della parola metaverso e del libro Snow Crash. Anticipato da Philip K. Dick, in libri come I giocatori di Titano (1963), Mr. Lars sognatore d’armi (1967), e altri racconti, è in realtà William Gibson, scrittore, a concepire quello che chiamiamo oggi metaverso come un cyberspazio. Per Gibson, esso consiste in più realtà virtuali nelle quali gli utenti possono immergersi, descrivendo così l’idea base del metaverso.

 

Il metaverso di oggi: esiste o no? / Cosa ci offre il metaverso?

Seppur siano presenti iniziative che presentano ipotesi di metaverso, è difficile affermare che il metaverso sia già un esperimento riuscito. «Ad oggi il metaverso ancora non esiste, poiché si tratta di un qualcosa in ideazione» ci racconta Eleonora Benecchi, Docente e ricercatrice presso la Facoltà di comunicazione, cultura e società all’Università della Svizzera italiana. La realtà è che ci sono punti di vista differenti su cosa debba essere o meno il metaverso. Da chi ne parla come una rete di mondi virtuali, probabilmente in 3D, a un rebrand di internet e al concetto stesso di web. Spesso, inoltre, la descrizione del metaverso si interseca con i social media, rappresentando un'evoluzione oppure un’estensione. Eppure, ci spiega Eleonora Benecchi, più che guardare ai social bisognerebbe fare attenzione al mondo dei videogiochi. Non è un caso che la stessa Microsoft, detentrice della console XBox, sia un altro player all’interno di quest’industria. «Più che vedere il metaverso come un’evoluzione dei social, lo si dovrebbe considerare come un’evoluzione di questi spazi di gioco», dice la Professoressa Benecchi. Tuttavia, sebbene non sia appropriato parlare di metaverso come un modo di ampliare i social media, è probabile che esso proponga dei meccanismi che sono alla base di queste piattaforme. Ad esempio l’uso dell’avatar, che in qualche modo corrisponde all’avere un’immagine del profilo ma in 3D. Il metaverso, secondo Ball, autore del libro The Metaverse. And how it will revolutionize everything, avrà un’economia propria, ma comprenderà tecnologie che esistono già e che lì troveranno un’interoperabilità.

 

La particolarità del metaverso, plausibilmente, consiste nel proporre il concetto di incontro casuale in uno spazio immersivo. Se i social media sono un mezzo con cui mostrare sé stessi, le proprie passioni, il proprio stile, il metaverso sembra voler essere un luogo dove vagare senza meta, con l’obiettivo di fare nuove conoscenze. «L’idea di fondo è quindi di creare un posto in cui la nostra vita sociale online sia più vicina a quella fisica». Quindi, invece di pianificare un incontro, possiamo immaginare di esplorare il metaverso in un’esperienza condivisa non programmata.

 

Le sfide

Un metaverso unico, integrato e scalabile, oppure ogni azienda ne proporrà uno proprio? Al momento la seconda direzione sembra quella intrapresa, almeno finché un metaverso diventi quello predominante. «Bisognerà decidere uno standard,» sostiene la Professoressa Benecchi. «Proprio come il VHS è stato per le videocassette». Sarà il bisogno di un mondo virtuale immersivo, espanso e inglobante a dar vita a uno standard unico.

Ma un mondo così vasto e teoricamente infinito, ha bisogno di essere popolato da contenuti.

Crearli solamente tramite uno sviluppo professionale è, al momento, oneroso. Dunque, possiamo immaginare anche per il metaverso che il futuro sia nei contenuti generati dagli utenti, proprio come accade nei social media come YouTube, Instagram, TikTok, ecc.? A questo punto è facile pensare che a risentirne sarà la qualità dei contenuti a fronte di una loro quantità infinita: cosa o meno pubblicare? Con quali competenze? Si ricorrerà all’intelligenza artificiale (AI)? Già in altri ambiti, come nella musica, esistono delle applicazioni che si affidano all’intelligenza artificiale per aiutare gli utenti nella produzione di contenuti. Quindi abbiamo già degli esempi di come l’AI può semplificare il processo di creazione di contenuti. Con l’AI e la presenza delle aziende nella creazione del Metaverso si torna (tornerà) tuttavia a parlare di protezione dei dati e della propria identità online. A questi quesiti, si aggiunge anche il legame con il mondo del web 3.0 e il tema della decentralizzazione. Di questo, ne parleremo nel prossimo articolo.

 Articolo di: Mjriam Prudente e Maria Luisa Giannetta