Ticino
Zugo, “temevamo potesse succedere anche a noi”
Redazione
4 anni fa
Ignazio Bonoli, già presidente del Gran Consiglio ticinese, e Luigi Pedrazzini, già consigliere di Stato, ricordano la strage di Zugo del 27 settembre 2001 e di come il Ticino reagì

La mattina del 27 settembre 2001, poco dopo le 10.30, un forsennato in rotta con le autorità locali, Friedrich Leibacher, fece irruzione nella sala del Gran consiglio di Zugo, riunito per la sessione ordinaria di fine mese. Sparò 90 colpi che uccisero undici deputati e tre membri del governo cantonale; e poi si ammazzò. Dei quindici feriti, diversi rimasero a lungo in sospeso tra la vita e la morte. Tra i sopravvissuti di quella tragedia figura l’attuale consigliere nazionale e presidente del Centro, Gerhard Pfister che oggi, in diverse interviste pubblicate per la ricorrenza, ha rammentato di non aver ancora del tutto superato il trauma subito all’epoca, che l’ha profondamente segnato.

Minuto di silenzio per commemorare le vittime
In occasione del 20esimo anniversario dalla strage, il Parlamento svizzero ha osservato oggi un minuto di silenzio per commemorare le vittime. “L’odio, la violenza e le minacce sono veleno per le istituzioni democratiche”, ha dichiarato il presidente del Consiglio degli Stati, Alex Kuprecht (UDC/SZ), in apertura dei lavori parlamentari. Kuprecht ha rammentato quanto le istituzioni democratiche siano vulnerabili di fronte a atti del genere e, in particolare, di fronte alla strage di Zugo che ha sconvolto la Svizzera. Prima di chiedere al plenum di alzarsi per un minuto di silenzio, Kuprecht ha letto ad alta voce i nomi delle vittime. Lo stesso ha fatto il presidente del Consiglio nazionale Andreas Aebi (UDC/BE) alla Camera del popolo.

La reazione dal Ticino
La strage stupì e sconvolse la Svizzera. Come reagì il nostro Cantone di fronte a questa violenza? Ce lo ricorda Ignazio Bonoli, già allora presidente del Gran Consiglio ticinese. “La mia reazione è stata di preoccupazione, tanto è vero che la seduta del Gran Consiglio in quei giorni si teneva alla Scuola arte e mestieri poiché la sala del Parlamento veniva rinnovata. Era tutto aperto e accessibile, per cui ho chiesto al Consiglio di Stato di mettere due poliziotti all’entrata per dare una parvenza di controlli, cosa che è stata fatta”.

Allora alla testa del Dipartimento delle istituzioni c’era Luigi Pedrazzini, il quale spiega cosa venne fatto per mettere in sicurezza la politica ticinese. “È stata una reazione un po’ convulsa all’inizio, ma molto determinata nell’introdurre delle misure di sicurezza per accedere alla sala del Gran Consiglio, agli studi del Consiglio di Stato e ai servizi dell’Amministrazione cantonale. Avevamo temuto che qualcosa di simile potesse accadere anche da noi. Quindi abbiamo preso queste misure perché in effetti vivevamo nella tranquilla illusione che certe cose in Svizzera non succedono”.

Tuttavia, la strage non cambiò il modo di vivere la politica. “Al di là delle misure prese per proteggere i luoghi istituzionali da azioni di questo genere, nessuno ha mai voluto una scorta per muoversi o si è preoccupato di adottare misure di sicurezza. Abbiamo voluto continuare a essere fedeli a quell’immagine che vuole che il politico svizzero sia accessibile quasi per chiunque”, commenta Pedrazzini. Di minacce ce ne sono tuttavia anche state, ricorda il già consigliere di Stato. “Di tanto in tanto minacce arrivavano, ma si segnalavano alla polizia. Devo dire che non ho mai tolto dall’elenco telefonico il mio numero e in 12 anni di governo mi è successa solo una telefonata un po’ antipatica, minatoria, ma nemmeno troppo grave”.

8 ottobre 2001. Un attimo di raccoglimento per le vittime di Zugo da parte del Parlamento ticinese. Immagine CdT/Nicola Demaldi
8 ottobre 2001. Un attimo di raccoglimento per le vittime di Zugo da parte del Parlamento ticinese. Immagine CdT/Nicola Demaldi

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