
A fine marzo 2020, una società zurighese, facente capo a degli elettricisti italiani, ha chiesto un credito Covid-19 di 475mila franchi, autocertificando un fatturato di 4,75 milioni di franchi nel 2019. In realtà, l’anno prima quella società per azioni non aveva tirato un solo cavo in alcun cantiere. Negli stessi giorni un ingegnere della fascia di confine, importatore di una bibita energetica dalla Serbia, chiede un credito Covid-19 di 170mila franchi, autocertificando un fatturato di 1.7 milioni di franchi. L’anno prima, non aveva venduto in Svizzera una sola lattina.
Nel secondo giorno del processo in corso a Lugano per truffe sui crediti Covid-19 e sulle indennità sul lavoro ridotto, hanno iniziato a essere interrogati alcuni imprenditori della vicina penisola che si sono affidati a un avvocato residente nel Canton Zurigo, tra i principali imputati del processo, e con lui hanno richiesto dei crediti a sostegno dell’economia che non erano giustificati.
“Aiuto utile dal punto di vista imprenditoriale”
L’elettricista ha spiegato di aver comunicato all’avvocato una stima del fatturato basata sul lavoro fatto in Italia e su contratti appena firmati o che dovevano essere firmati. L’ingegnere, invece, la cui attività in Svizzera era iniziata di fatto solo nei primi mesi del 2020, ha letteralmente pensato a quanti soldi sarebbero serviti per lanciare la società nel nostro Paese. “Dal punto di vista imprenditoriale l’aiuto sarebbe servito”, ha spiegato.
Otto auto in leasing all’insaputa dell’azienda
L’ultimo capitolo di questo complesso atto d’accusa, prodotto dalla procuratrice pubblica Raffaella Rigamonti, riguarda il dipendente di una ditta di autonoleggio, che con uno degli altri imputati principali è sospettato di aver acquistato a leasing otto automobili all’insaputa dell’azienda senza l’intenzione di pagare le rate e mettendole a disposizione di altri imputati.
Fatti ammessi, contestato l’intento criminoso
In tutto, lo ricordiamo, gli otto imputati giudicati (il nono non è reperibile) sono accusati di varie truffe con le quali hanno raccolto oltre un milione di franchi tra crediti Covid-19 e indennità per perdita di guadagno. Praticamente tutti, pur ammettendo buona parte dei fatti, contestano l’intento criminoso del loro agire. Rischiano fino a 5 anni di carcere, la sentenza della corte presieduta dal giudice Siro Quadri sarà emessa venerdì.
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