Ticino
"Userò la mia esperienza per appianare le divergenze"
Redazione
un anno fa
Christian Castelli, nuovo direttore operativo di Lugano Airport, guarda con fiducia alle sfide che lo attendono. "La struttura ha dei movimenti importanti per essere un aeroporto regionale".

L’aeroporto di Lugano ha dal primo luglio un nuovo direttore operativo. Classe 1973, laurea in economia e un’esperienza ventennale da diplomatico, in particolare in Libano, Christian Castelli assume la carica in un momento decisivo per lo scalo: l’attuale concessione scadrà nel 2026 e per rinnovarla occorre anzitutto una revisione della scheda PSIA. Una sorta di piano regolatore aeroportuale e del suo assetto urbanistico che la Città, attuale gestore, conta di vedere approvato dal Consiglio federale entro fine anno. E non è la sola sfida all’orizzonte per un aeroporto che di turbolenze, negli anni, ne ha davvero attraversate tante. Dalle polemiche per il suo rilancio dopo l’abbandono dei voli di linea e il susseguirsi di disavanzi, alla liquidazione della società nella primavera del 2020, con la pandemia che aveva dato l’affondo finale.

Fu allora che la Città decise di assumerne in via transitoria la gestione per evitarne la chiusura, con l’obiettivo di traghettare lo scalo verso i privati. Un’ipotesi restata a lungo sul tavolo, con due cordate a contendersi la gestione, ma diventata sempre meno urgente nel periodo post-pandemico. Da allora lo scalo non ha più generato perdite alla Città, anzi: aviazione privata e scuola di volo dal 2021 hanno addirittura visto aumentare i movimenti. Di qui la decisione del Municipio, esattamente un anno fa, di interrompere la procedura di privatizzazione da tempo avviata in vista di un nuovo concorso da affinare una volta riottenuta la concessione. Si tratterà ora di decidere quale via intraprendere: oltre alla privatizzazione totale, una partnership pubblico-privato non è al momento esclusa. L’obiettivo è quello di presentare un masterplan al Consiglio comunale entro fine anno.

Christian Castelli, cosa l’ha spinta a lanciarsi in questa sfida? È un tema che divide molto l’opinione pubblica...

“Dove potrò essere competente sarà nel cercare di risolvere le varie divergenze e nel trovare gli elementi comuni, anche perché ritengo che un aeroporto vada visto nel suo complesso. L’abbiamo constatato recentemente con quello che è successo in Vallemaggia: l'aeroporto di Lugano ha dato un supporto nella situazione di catastrofe; la mobilità aerea sopperisce laddove le strade vengono interrotte per motivi di calamità naturali. Esistono dunque degli elementi davvero di essenza per la comunità, di supporto e di complementarietà rispetto ad altri mezzi di trasporto”.

Perché secondo lei lo scalo di Lugano Airport può avere un futuro a tutti gli effetti?

“Anzitutto, Lugano Airport ha dei movimenti importanti per essere un aeroporto regionale. Credo vada analizzato il contesto dell’aviazione più in generale: sappiamo che i grandi Hub probabilmente andranno in saturazione e dunque c’è la possibilità per Lugano di avere un ruolo complementare rispetto a questi grandi Hub”.

Lei immagina il ritorno di voli di linea qui a Lugano e se sì a quali condizioni?

“Lugano ha delle limitazioni, soprattutto sulla questione della lunghezza della pista, però è altrettanto vero che ultimamente diverse compagnie ed entità private hanno contattato Lugano Airport per cercare di capire in che modalità ripristinare una linea. Probabilmente, questo non lo sappiamo, anche l’uso di nuove tecnologie potrebbe portare nell’industria di settore delle innovazioni per magari ottimizzare, tramite determinati algoritmi, il volo in funzione del numero dei passeggeri”.

Oggi un tema che fa tanto discutere è quello dell’inquinamento. Il futuro dell’aviazione passa anche dalla ricerca di forme più sostenibili per volare?

“Assolutamente e credo che l’industria abbia fatto dei grossi passi, dato che inquina il 50% in meno rispetto al passato. Ci sono diverse sfide che Lugano dovrà fronteggiare e sono sicuro che saprà affrontarle con successo. Mi riferisco alla scheda PSIA, al rinnovo di parte dell’infrastruttura e a tutta una serie di discussioni legate a quello che è l’aeroporto. Dove posso aiuto con le mie idee e con le mie visioni basate anche sulle esperienze passate, immaginando come potrebbe essere l’Airport di Lugano fra 10-20 anni, quando sarà operativo un nuovo scalo. Personalmente le sfide un po’ difficili mi sono sempre piaciute: è anche ciò che rende interessante il lavoro”.

Lei ha sentito il bisogno di tornare anche per una questione di radici…

“Sono intervenuti una serie di considerazioni anche di carattere personale e familiare. Mi riferisco all’esplosione del porto di Beirut, che ha un po’ cambiato la mia visione su quella che era la sicurezza, più che altro sul fatto di far crescere i figli, i quali erano ancora in giovane età. Sembra sia stata l’esplosione più potente al mondo. Al di là di quelli che sono stati gli aspetti fisici (le orecchie che hanno continuato a fischiare per 2-3 settimane), è sicuramente qualcosa che mi marcherà per tutta la vita. È un aspetto che si è superato, come tanti altri, però resterà indelebile”.

C’è anche un senso di appartenenza che, mi diceva, non è così evidente quando si gira il mondo

"Questo è un aspetto un po’ curioso che ho notato nei miei figli, ma anche in molti colleghi. Si sentivano svizzeri, venivano a Lugano, conoscevano il Ticino, ma non avevano quel senso di appartenenza. Non è facile da spiegare ma, per citare un piccolo episodio, se quattro anni fa parlando con mio figlio dicevo ‘stasera gioca la Svizzera’, per lui era solo una partita di calcio. Già recentemente, invece, durante gli Europei, diceva ‘stasera giochiamo’. È nato dunque questo sentimento che secondo me negli individui è fondamentale. Uno deve avere delle radici. In seguito può girare il mondo, ma avere questo senso di appartenenza a una comunità, a un territorio, è fondamentale per la crescita dell’individuo”.

L'intervista completa: