
A inizio pandemia lo Stato ha deciso di aiutare le aziende senza tante formalità e senza tanti controlli, perché si è ritenuto più importante lanciare un salvagente all’economia del rischio di tendere una mano anche ai furbetti. Lo Stato ha deciso di fidarsi delle aziende e chi ne ha approfittato ha agito con astuzia. Gli imputati sapevano che i controlli sarebbero stati agili se non nulli e approfittandone, compilandoli con dati gonfiati o inventati, è colpevole di truffa. È questa la tesi esposta dalla procuratrice pubblica Raffaella Rigamonti nel chiedere la condanna degli otto a processo a Lugano per una serie di truffe compiute nel richiedere crediti Covid-19 e indennità per lavoro ridotto nel 2020.
Gli avvocati consci dell’illiceità del loro agire
In particolare, i due avvocati del gruppo, ha spiegato la procuratrice, proprio per la loro formazione erano ben consci dell’illiceità del loro agire. Ma anche gli altri membri del gruppo sapevano di mentire quando hanno partecipato a vario titolo ai raggiri, presentando conteggi per il lavoro ridotto fasulli, affermando perdite di guadagno immotivate, o supportando contratti di leasing con firme false.
Le accuse
Agli otto, la procuratrice pubblica imputa in particolare il reato di truffa, per una serie di operazioni astute che sono loro valse oltre un milione di franchi di aiuti. Ma la lista delle imputazioni è ben più lunga e si tratta quasi solo di presunti reati legati alla gestione di società e alla produzione di documenti falsi. Da un lato per accedere agli aiuti statali, ma anche per contrarre contratti di leasing e facilitare l’ottenimento del permesso ad alcuni cittadini stranieri. Per questo Raffaella Rigamonti ha proposto pene che vanno dai 6 mesi sospesi ai 4 anni e 4 mesi da scontare. La condanna più severa è stata chiesta per quelli che possono essere definiti i due imputati principali: un avvocato italiano e un cittadino svizzero che hanno avuto ruoli di primo piano nelle principali truffe, per il secondo avvocato italiano è stata chiesta invece una pena di 2 anni e 6 mesi parzialmente da scontare. Per una parte degli imputati è stata chiesta anche l’espulsione dalla Svizzera.
I precedenti
Finora in Svizzera vi sono già state alcune sentenze per truffe sui crediti Covid-19. I colpevoli sono stati condannati a pene fino a 4 anni di detenzione in primo grado. Ora la parola passerà alle difese, la sentenza è attesa per giovedì 9 giugno.
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