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Stretto di Hormuz sotto minaccia, Bertolotti: "Una chiusura rappresenterebbe un grosso problema"
Redazione
2 giorni fa
Con il docente ISPI e direttore di Start Insight analizziamo le conseguenze di un eventuale blocco di questa arteria fondamentale. "Cagionerebbe un danno non solo all'approvvigionamento energetico, ma anche ai traffici commerciali".

È un collo di bottiglia largo solo 33 chilometri, ma lo stretto di Hormuz non rappresenta solo un tratto di mare tra l’Iran e la penisola arabica: si tratta di una vera e propria arteria dell’economia globale. Da lì, infatti, passa buona parte dell’energia che muove il mondo. Porta d’ingresso e d’uscita del Golfo Persico, è una delle aree più ricche di petrolio e gas del pianeta. Ogni giorno, centinaia di navi lo attraversano, due terzi sono petroliere. Dallo stretto transita oltre un quinto del petrolio mondiale e più di un decimo del gas liquido, in particolare dal Qatar, dall’Arabia Saudita e dagli Emirati.

I primi effetti

Le rotte sono strette: corsie di 3 chilometri per ogni senso di marcia, separate da una zona cuscinetto. È come far passare l’autostrada del petrolio in un imbuto ed è proprio questo a renderlo vulnerabile; è sufficiente una minaccia per far impennare il prezzo del greggio. E oggi quella minaccia ha un nome: Iran. Dopo gli attacchi israeliani, Teheran ha avvertito: “Potremmo bloccare lo stretto”. Come? Missili, droni, navi da guerra e attacchi informatici. L’Iran ha più di un modo per riuscirci e le conseguenze sarebbero immediate e globali, anche per il nostro cantone. “Il petrolio, dalla prospettiva ticinese, sta reagendo come reagisce sui mercati internazionali", commenta ai microfoni di Ticinonews il presidente di SwissOil Ticino Paolo Righetti. "Il timore per una possibile mancanza di prodotto, nel caso in cui si dovesse intensificare il confitto, sta portando i prezzi a un rialzo. Facendo un paragone con le tariffe osservate durante l’inverno, le cifre sono ancora interessanti, ma da giovedì-venerdì c'è stato un incremento di circa il 6-7%”.

L'impatto sulle borse

Fare previsioni certe è difficile, ma si teme che i costi dell’energia schizzerebbero in alto, con un impatto diretto su inflazione, trasporti, produzione, e anche sulle borse. “L’Iran produce a livello mondiale circa il 3-4% del petrolio globale. La borsa è qualcosa di emozionale, pertanto il rischio di un conflitto, che potrebbe anche essere molto importante, nella zona in cui oltre all’Iran sono presenti anche altri produttori, porta al timore di un futuro calo sul mercato". Pertanto "i grandi operatori acquistano maggiori quantità di prodotti virtuali (borsistici), i quali portano poi a un aumento dei prezzi reali”.

Il rischio di un'escalation

C’è però un altro rischio, forse ancora più grande: l’escalation. Un blocco dello stretto potrebbe trascinare nella crisi le marine occidentali, le flotte del Golfo e le grandi potenze. Gli Stati Uniti e la Cina, finora impegnati a tenere aperto il passaggio, potrebbero non riuscire a evitare un incidente. E in un contesto così infiammabile, basterebbe poco per accendere una scintilla. “Gli Usa sono molto interessati a questa via strategica e hanno nelle acque vicine una forte presenza militare", rileva Righetti. "Vi è il rischio che l’Iran possa bloccare questo passaggio e se dovesse verificarsi questa eventualità, dubito che gli Stati Uniti resterebbero 'super partes'; interverrebbero per far sì che la via non resti bloccata”.

Lo scenario peggiore

Un'eventuale chiusura dello stretto non rappresenterebbe un grosso problema solo da un punto di vista dell’approvvigionamento energetico, ma cagionerebbe un danno anche ai traffici commerciali. "Diversi prodotti costerebbero di più, in quanto impiegherebbero più tempo per raggiungere i mercati europei", commenta Claudio Bertolotti, docente ISPI e direttore di Start Insight. Questo "è lo scenario peggiore, che con buona probabilità verrà utilizzato come leva nei confronti dell’Occidente affinché eserciti pressioni su Israele. Pressioni che dovrebbero servire, nelle intenzioni iraniane, a ridurre la spinta militare a danno di Teheran”.

Chi può gestire questa situazione?

La domanda che molti si pongono adesso è se vi sia uno Stato esterno al conflitto realmente in grado di gestire una situazione così delicata. Partendo dagli Stati Uniti "è altamente improbabile che Trump non fosse a conoscenza dell’azione militare israeliana, ma è altresì molto probabile che, pur sapendolo, abbia preferito non esporsi, così da poter giocare un ruolo in seconda battuta: andare a sostegno di Israele senza essere coinvolto direttamente nell’attacco contro l’Iran". La Cina, dal canto suo, "è un sostenitore dell’Iran, ma non ha intenzione di giocare né un ruolo di mediazione né un ruolo attivo di appoggio diretto. Sono altri gli attori che potrebbero dare un contributo, sempre sul piano politico-diplomatico e non militare". Il riferimento "è alla Russia, che ha uno strettissimo legame con l’Iran". E se da un lato è improbabile che Putin possa essere riconosciuto con un mediatore, "dall’altro è in buoni rapporti anche con Israele. Vi è però un aspetto da considerare: il ruolo della comunità internazionale, la quale mai gli riconoscerebbe questa responsabilità e mai gli darebbe un simile vantaggio sul piano della diplomazia”, conclude Bertolotti.