
I figli non si educano con le botte: sberle, sculacciate, umiliazioni e minacce non devono più far parte delle strategie educative dei genitori. È quanto ritiene il Consiglio degli Stati, che ha accolto una modifica del codice civile. Concretamente, il progetto governativo prevede che i genitori debbano educare i figli senza ricorrere alla violenza, segnatamente senza punizioni corporali né maltrattamenti degradanti. “La mia reazione non può che essere positiva", commenta il direttore di Pro Juventute Ilario Lodi, interpellato da Ticinonews. "Questo tema è centrale nel mondo, ma in Svizzera ha faticato forse un po' di più a farsi strada rispetto ad altri paesi. Credo che la questione dell'educazione non violenta oggi possa essere un'occasione molto importante per noi adulti per ripensare, anche dai suoi fondamenti, il rapporto che abbiamo con i nostri bambini e giovani”.
Ma come si dimostra che in casa un genitore ha dato una sberla al figlio?
“I segnali possono anche essere molto evidenti: segni fisici che si vedono a scuola, per la strada, nei contatti regolari con amici e altri. Più delicato è quando non si tratta di qualcosa di così evidente. Lì il discorso passa su un altro piano”.
Chi dovrebbe segnalare o denunciare questi episodi? I figli, la scuola, i vicini, i medici?
“Ci sono delle procedure d'ufficio, quindi la violenza deve essere denunciata, quando è evidente, da parte di chi la rileva all'interno di contesti istituzionali. Ma il discorso va molto più in là di così. Noi dobbiamo assumere una responsabilità collettiva: non possiamo girare la faccia dall'altra parte quando siamo confrontati con fenomeni di questo genere. L'importanza di questa legge, al di là degli aspetti concreti riguardanti le violenze fisiche sui bambini, sta proprio nell'atteggiamento diverso che noi adulti dobbiamo avere nei confronti di tutti i giovani, non solo di quelli appartenenti alla nostra cerchia familiare o al contesto in cui viviamo. Tutti noi adulti abbiamo questo tipo di responsabilità e non possiamo chiamarci fuori”.
Questo credo sia un principio su cui siamo tutti d'accordo. Ma che valore ha una denuncia in assenza di prove concrete? Non rischiamo di entrare in un terreno molto grigio?
“Questo è vero. La situazione si fa delicata nella misura in cui si vedono fenomeni di violenza ovunque, anche dove non ci sono, o comunque dove hanno preso forma in un contesto che va compreso fino in fondo. Faccio un esempio: può succedere che un genitore che ha passato una giornata molto impegnativa sul lavoro, costantemente sotto pressione, arrivi a casa la sera e vada sopra le righe. Può succedere, ma non può essere giustificato. Deve tuttavia essere contestualizzato - l'atteggiamento che questo genitore ha assunto - non solo pensando agli effetti che ha generato sul proprio figlio, ma sulla sua stessa esistenza, quindi sul suo vivere la quotidianità, che lo ha portato a perpetrare dei fenomeni di violenza. Il problema qui diventa quindi ancora più serio: non si tratta soltanto di prestare attenzione agli atti di violenza fisica e diretta, ma anche di pensare a ciò che ha condotto a perpetrare atti di violenza nei confronti dei bambini. Che è altrettanto grave, su questo noi non possiamo prenderla alla leggera, perché ripeto: la responsabilità è di tutti; datori di lavoro, adulti, scuola, intero contesto civile".
Qualcuno sottolinea il rischio che lo Stato entri troppo nella vita privata delle famiglie, creando anche una certa diffidenza piuttosto che protezione. Cosa risponde?
“Questo potrebbe essere vero, soprattutto in Svizzera dove la questione dell'educazione di bambini e giovani è ritenuta ancora oggi fondamentalmente privata. È però altrettanto vero che oggi i problemi non possono più essere affrontati solo a livello familiare, proprio perché la complessità della società in cui oggi viviamo deve chiamare tutti a prestare la massima attenzione all'educazione dei bambini e dei giovani. Le famiglie non sono più così in grado, come lo erano prima, di occuparsi dalla A alla Z (diciamo così) dell'educazione dei propri ragazzi. Io non vedo questa legge come un'ingerenza dello Stato nei confronti dell'educazione che i genitori vogliono mettere in atto con i loro bambini. La vedo di più come una distribuzione delle responsabilità per sostenere i nuclei familiari nel loro compito educativo. È vero che le famiglie devono dare fiducia alla società, ma questo è un altro discorso".
Cosa risponde a chi dice che si tratta di una legge simbolica, difficile da applicare nella realtà quotidiana?
“Potrebbe anche sembrare così per alcuni, ma per me è molto importante che il fatto il passo sia stato compiuto. Oggi abbiamo l'occasione fenomenale per ripensare molti degli aspetti educativi che mettiamo in essere nei confronti dei giovani. Non è più soltanto una questione familiare, ma diventa una questione di società, cosi come tanti altri problemi che oggi siamo chiamati ad affrontare in ambito educativo”.
L'intervento completo di Ilario Lodi a Ticinonews: