
Niente da fare per l'iniziativa targata PLR con cui si chiedeva di fissare un quorum del 4% per l’elezione in Gran Consiglio. Il Parlamento ha detto "no" alla proposta con 48 voti contrari e 34 favorevoli. Respinto anche il controprogetto, partorito dalla maggioranza della commissione Costituzione e leggi e appoggiato da PLR, Lega e parte dell’UDC (49 contrari e 32 favorevoli). Approvato, invece, con 46 voti a favore (34 contrari e un astenuto) il rapporto di minoranza contro la soglia firmato da PS, Centro e Verdi. L'iniziativa originale, lo ricordiamo, mirava a modificare la Costituzione cantonale introducendo un quorum diretto del 4%: solo le liste che raggiungono tale soglia potrebbero partecipare alla ripartizione dei seggi. Un intervento necessario, secondo i promotori, per garantire funzionalità e coesione al Legislativo cantonale, prendendo esempio da Cantoni come Zurigo, Vaud e Ginevra, dove sono già in vigore soglie simili.
La proposta della maggioranza
La Commissione Costituzione e leggi ha affrontato il tema con ampio approfondimento. Il rapporto di maggioranza, firmato da Simona Genini (PLR) e Andrea Censi (Lega) il 27 maggio di quest'anno, riconosce la legittimità delle preoccupazioni espresse dall’iniziativa e sostiene che un correttivo sia effettivamente necessario per ridurre la frammentazione parlamentare. Tuttavia, la maggioranza ha proposto un controprogetto più moderato, che fissava la soglia al 3% anziché al 4%. Questo per evitare un taglio troppo drastico alla rappresentanza dei partiti minori, ma al contempo migliorare la governabilità. "Un Parlamento troppo frammentato – si legge nel rapporto – non garantisce, ma può favorire maggioranze più coese, evitando continui blocchi decisionali". La maggioranza ricorda anche che altri Cantoni svizzeri (tra cui Zurigo, Zugo, Neuchâtel e i Grigioni) applicano forme di sbarramento diretto, spesso combinate con sistemi biproporzionali, e suggerisce che una soglia del 3% rappresenti un compromesso accettabile tra pluralismo e funzionalità.
Censi: "È sotto gli occhi di tutti che il Parlamento è bloccato"
“Se è vero che il dissenso è parte vitale di ogni sistema democratico, è anche vero che per decidere serve un quadro che ne garantisca la funzionalità. Una democrazia non deve solo discutere, ma anche decidere. Altrimenti, si indebolisce e si svaluta”, ha dichiarato Genini. Dal canto suo, Censi ha voluto ribadire come il punto cruciale "è sotto gli occhi di tutti: il Parlamento è bloccato. Le decisioni non arrivano e i piccoli gruppi paralizzano ogni iniziativa e i continui rallentamenti soffocano il buon funzionamento di quest’aula ed è inaccettabile. Non possiamo più andare avanti così". Il deputato leghista ha poi affermato che, nonostante la proposta del Centro abbia buoni propositi, ridurre i tempi degli interventi "è un mero palliativo, non la soluzione che serve al Ticino". Per Censi, c'è solo un modo per sbloccare la situazione in modo legittimo e trasparente: "Lasciare che sia il nostro popolo a decidere. Nella nostra democrazia diretta questa non è un’opzione ma un dovere, dar voce al popolo non è un segno di debolezza, ma di fiducia". Rifiutare questo passaggio "sarebbe un gesto di chiusura e sfiducia imperdonabile nei confronti di chi ci ha eletto".
La minoranza si è opposta
Di diverso avviso la minoranza della Commissione, rappresentata da Giulia Petralli (Verdi) e Gianluca Padlina (il Centro+GdC). Secondo il rapporto di minoranza, l’introduzione di un quorum, sia esso al 4% o al 3%, comporterebbe una grave riduzione del pluralismo politico e priverebbe decine di migliaia di ticinesi della loro rappresentanza parlamentare. A fronte dell’ultima tornata elettorale, sottolinea la minoranza, le cosiddette “forze minori” hanno raccolto complessivamente il 13% dei voti. "Escluderle – si legge – significherebbe ignorare una parte significativa della cittadinanza". Inoltre, il sistema ticinese, con il suo circondario unico e l’assenza di congiunzioni di lista, renderebbe l’effetto di un quorum particolarmente rigido e penalizzante rispetto ad altri contesti cantonali. Per la minoranza, non è dimostrato che la frammentazione politica sia davvero la causa dei rallentamenti legislativi. Piuttosto, bisognerebbe prima agire su altri piani: razionalizzare i tempi d’intervento in aula, eliminare atti parlamentari obsoleti, o alzare la soglia per presentare determinati atti. Infine, si teme che un simile cambiamento incentivi la personalizzazione della politica, favorendo movimenti centrati su figure carismatiche a scapito di progetti collettivi.
Petralli: "Da quando il pluralismo è un problema da correggere?"
“La scelta di introdurre un quorum non è tecnica, bensì politica", ha spiegato Petralli. "Il suo obiettivo è evidente: sbarazzarsi con eleganza di chi disturba la quiete dei gradi partiti, di chi porta avanti sensibilità nuove". Insomma, "questa proposta non è il frutto della modernizzazione di cui abbiamo bisogno, ma piuttosto della nostalgia per un Parlamento le cui sedie erano occupate sempre dagli stessi partiti". Oggi invece "la politica è cambiata, è più fluida e davanti a questa pluralità, si tira fuori la forbice costituzionale, si dice che il Parlamento non funziona più bene, ma mi chiedo: da quando il pluralismo è un problema da correggere? E siamo proprio sicuri che questo sia il vero problema? I partiti di Governo occupano oltre due terzi del Gran Consiglio. Se non riescono a far passare certe decisioni, il problema non è nei numeri, bensì nelle idee che non convincono”. "La sostanza delle cose è chiara: l’intenzione è di sbarrare, o comunque ostacolare in maniera importante, l’accesso al Parlamento", le ha fatto eco Padlina. Invocando limiti operativi "si ritiene di poter risolvere tutti i problemi del nostro cantone semplicemente precludendo l’accesso Gran Consiglio dei cosiddetti “partitini”". "Se è vero come è vero che il Parlamento riesce in ogni seduta ad evadere sostanzialmente l’ordine del giorno, difficilmente credo si possa sostenere di essere in presenza di un organo paralizzato", ha precisato il centrista.
I partiti minori al contrattacco
Dal canto loro, i partiti minori fanno fronte comune e respingono con decisione l’idea di ridurre la rappresentanza parlamentare. Dai banchi delle forze più piccole arriva un messaggio chiaro: il pluralismo non è un problema, ma una ricchezza da tutelare. Amalia Mirante, intervenendo a nome di Avanti con Ticino&Lavoro, ha sottolineato che in una democrazia ogni voce conta, soprattutto quelle che mettono in discussione le certezze. A suo avviso, i contributi più scomodi sono spesso anche i più preziosi, perché arricchiscono davvero il dibattito pubblico. Maria Pia Ambrosetti, di HelvEthica, ha difeso il ruolo delle formazioni che danno voce a territori periferici e a sensibilità trascurate dai grandi partiti. Secondo lei, queste presenze rappresentano istanze che altrimenti rischierebbero di essere ignorate. Duro l’intervento di Massimiliano Ay per il Partito Comunista, che si è chiesto se davvero si voglia far credere alla popolazione che le difficoltà operative del Gran Consiglio siano colpa dei piccoli partiti. Una narrazione che, secondo Ay, non regge alla prova dei fatti. Anche Più Donne, con Maura Mossi Nembrini, ha contestato la narrativa dominante. Ha invitato chi accusa i partiti minori di ostacolare i lavori parlamentari ad ascoltare con attenzione le registrazioni delle sedute: emergerebbe chiaramente chi prende più spesso la parola e chi rallenta realmente i lavori. Pino Sergi, intervenuto per l'MPS, ha invece messo in dubbio l’efficacia dei sistemi fondati su soglie elettorali o addirittura su modelli maggioritari. A suo giudizio, non vi sarebbe alcuna evidenza che questi sistemi garantiscano maggiore stabilità. Infine, Massimo Mobiglia, a nome del Partito Verde Liberale e dei Giovani Verdi Liberali (PVL e GVL), ha criticato l’approccio punitivo delle soglie rigide. A suo avviso, invece di ridurre la rappresentanza, bisognerebbe concentrarsi su come valorizzare il ruolo dei deputati che non appartengono ai gruppi parlamentari tradizionali, migliorandone il coinvolgimento nei processi legislativi. Tutti concordano su un punto: la pluralità politica è un valore da difendere, non un ostacolo da eliminare. E limitarla per decreto rischierebbe, secondo loro, di danneggiare la qualità stessa della democrazia cantonale.