Ticino
Scappare verso la salvezza
Thomas Schürch
2 anni fa
Bruna Cases, ebrea di origine, torna a Stabio per la prima volta dopo 79 anni e ripercorre le tappe della sua fuga dalla persecuzione

Un’autentica fuga verso la salvezza. È quella che intraprese, molto tempo fa, l’allora novenne Bruna Cases, ebrea di origine, per scampare alla persecuzione nazista. Scappò dall’Italia con la sua famiglia verso quella che allora veniva definita la terra della speranza, la Svizzera “Decidemmo ad andare via di casa e pensammo di entrare in Svizzera, come facevano in molti. Era il 31 ottobre 1943”.

E oggi, dopo 79 anni, per la prima volta Bruna, accompagnata da suo marito, è tornata a Stabio, luogo in cui riuscì, con l’aiuto dei contrabbandieri, a varcare la ramina. Con i colleghi di Ticinonews, Bruna ha ripercorso i momenti salienti di quella concitata fuga.

“La quarta notte arrivarono i contrabbandieri”, ricorda Cases. “Camminammo per un po’ nella campagna e poi ci fecero aspettare in un boschetto, mentre loro tagliavano la rete”. La rete, però, “era piena di campanelli, in alto. Bastava sfiorarla e iniziavano a suonare, per richiamare i nazisti e i fascisti”. Per fortuna i contrabbandieri “furono abbastanza abili e riuscirono a non farla suonare e a farci passare da questo buco”.

Il ricordo
Di questa fuga, seppur solo bambina, Bruna Cases, annotò tutto, per non dimenticare. “Ho cominciato a scrivere su dei foglietti, perché non avevo un quaderno. In quei giorni conducevo una vita fuori dal normale e capii che era il caso di mettere qualcosa per iscritto, in modo da ricordami tutto in futuro”.

Uniti nella vita e nella buona sorte
Anche il marito di Bruna, Giordano d’Urbino, riuscì a scappare in Svizzera, passando però fra il Generoso e il Bisbino. “Arrivammo in Valle di Muggio e camminammo poi per due ore per giungere a Cabbio, dove c’era la stazione delle guardie di frontiera. Lì ebbe luogo la discussione per decidere se accettarci o meno. Per fortuna ci accettarono”, racconta Giordano.

“Non sapevano cosa succedeva”
In quei giorni del 1943, guardie di confine e soldati svizzeri vivevano un momento decisamente caotico. “Dovevano agire con ordini giornalieri, che cambiavano anche più volte al giorno”, spiega Fiorenzo Rossinelli, già comandante del Corpo delle guardie di confine. “Tutto funzionava con il telefono: i messaggi venivano scritti e portati poi al confine. Magari arrivavano in ritardo e bisognava ricorreggerli. Sicuramente sono stati commessi anche degli errori”. Errori ma anche scelte, che avrebbero deciso del destino degli ebrei in fuga “Non si rendevano conto di cosa succedeva. Le persone venivano respinte verso l’Italia. Le guardie di confine non erano però coscienti del fatto che dopo le centralizzassero a Milano e che gli ebrei venissero deportati in Germania”.

“Imparare dalla storia”
Presente a Stabio anche il Direttore del Dipartimento Educazione, cultura e sport (Decs) Manuele Bertoli. “La speranza è che siano tante le storie con un finale positivo che possano essere raccontate a cavallo di frontiere che per alcune persone sono diventate passaggi decisivi per la loro vita”, commenta il consigliere di Stato. “Putroppo, sappiamo che ci sono stati anche momenti in cui la frontiera è coincisa con la condanna e con il respingimento”. È quindi importante “ricordare questi fatti per far sì che non accadano più. Tenere viva la memoria è una delle misure possibili contro l’indifferenza, che in fondo è ciò che in passsato, ma anche oggi, in luoghi non molto lontani da qui, alimenta questi conflitti”. La lotta contro l’indifferenza “credo sia determinante e la si può fare solo rievocando pagine belle e meno belle della nostra storia, perché questa storia ci appartiene e noi, in qualche modo, dobbiamo imparare da essa”.

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