
Il dato è stato fornito da uno studio pubblicato dall'Ufficio federale di statistica (UST): quasi i due terzi della popolazione svizzera utilizza regolarmente più lingue. E ad occupare una posizione di rilievo è l'inglese, con cui anche le lingue nazionali devono fare i conti. Ma l'idioma di Shakespeare potrà mai diventare una vera e propria lingua franca in un quadro frammentato come quello elvetico? Ticinonews lo ha chiesto ad Alessio Petralli, linguista e direttore della Fondazione Möbius. “Prima di tutto, vorrei sottolineare che il termine 'lingua franca', usatissimo, è utilizzato in maniera impropria, poiché una lingua franca dovrebbe essere super partes, stare sopra le parti, mentre sappiamo benissimo che l'inglese fa i suoi interessi", spiega Petralli. "Parlerei di lingua veicolare, se vogliamo. C'è anche chi aveva proposto di chiamarla lingua segretariale, ma io rifletterei anche sul fatto che ultimamente l'inglese, pur con tutti i vantaggi che comporta, ha sicuramente perso, o messo in discussione, un po' del suo prestigio. Prima con la Brexit e adesso con quello che sta succedendo con Donald Trump". Gli equilibri linguistici "sono quindi modificabili, non vanno in una direzione scontata, come a certi potrebbe sembrare”.
Ma c'è, secondo lei, la necessità in Svizzera di una sorta di lingua ponte, che sia l'inglese o qualsiasi altra? Insomma, che faccia da unione in questa frammentazione plurilinguistica?
“Fino a un po' di anni fa questa lingua ponte era il francese. Ovviamente un idioma veicolare è utile, ci fa risparmiare fatica da un certo punto di vista. Ma ci impedisce anche di accedere a culture altre che potrebbero arricchirci, perché l'inglese veicolare è soprattutto una lingua dedicata alla comunicazione e molto meno alla cultura. Dall'inchiesta emerge invece che una percentuale molto alta di svizzeri, l'86%, ritiene importante conoscere le lingue nazionali per la coesione nazionale. Questo è un bel risultato, interessante.
Il plurilinguismo è sicuramente parte dell'identità del paese. È però vero che è anche un processo faticoso. La lingua è unione, ma allo stesso tempo una barriera. Allora qual è l'effetto reale sulla coesione sociale?
“Il multilinguismo è faticoso, però fa parte della biodiversità e noi siamo dei difensori accaniti della biodiversità a diversi livelli, pensiamo per esempio alla natura. Per le lingue, però, tendiamo a dimenticarci che si tratta di una biodiversità altrettanto produttiva; chi ne parla di più ha un vantaggio rispetto a chi ne conosce una sola. E il nostro vantaggio di posizione con le lingue nazionali, le quali ci permettono di parlare con quasi tutta l'Europa, deve essere, a mio avviso, mantenuto. Tutti dovranno masticare l'inglese più o meno bene, ma chi avrà in più il francese e il tedesco disporrà di due frecce al proprio arco da non sottovalutare”.
E in prospettiva quanto sarà necessario, visti gli avanzamenti tecnologici legati ad esempio all'IA, imparare così tante lingue nel metodo classico?
“Dobbiamo valutare bene ma non ci siamo ancora, perché queste trasformazioni tecnologiche, che ci sembrano sempre così repentine, in effetti hanno tempi piuttosto lunghi. Basterebbe pensare alla tastiera: siamo in piena era iper tecnologica e tutti noi usiamo ancora tastiere fisiche e virtuali senza fare una piega. Per quanto riguarda la traduzione simultanea, anche lì bisogna andarci piano, perché noi sappiamo che l'IA soffre ancora di molte allucinazioni. Favorirebbe sicuramente la comunicazione asincrona, mentre è più difficile che contribuisca a quella indiretta. E anche se ci riuscisse, sarebbe comunque una comunicazione mediata da una macchina. Se ci impigriamo, sappiamo che andiamo verso una sorta di paralisi. Pensiamo solo al navigatore dell'automobile e al fatto che si disimpara a gestire lo spazio. Non è una perdita di poco conto. Se dovessimo disimparare a interagire con altre lingue e culture che ci sono anche molto vicine e con cui siamo abituati a relazionarci, la Svizzera perderebbe un suo vantaggio di posizione notevolissimo: perderebbe questa biodiversità che la fa ricca”.