
Scartato dal Festival del film di Locarno, il cortometraggio "Noun" sta vivendo un vero e proprio bagno di popolarità.
Come noto, la pellicola verrà comunque proiettata a Locarno, al Rivellino, dove si prevede il tutto esaurito.
E non solo al Rivellino. In questi ultimi giorni la regista svizzera Aida Schlapfer, nata a Baghdad, sta ricevendo chiamate da più parti. Alcuni festival cinematografici nei paesi arabi hanno già deciso di proiettarlo e dall'anno prossimo il film sui cristiani in Iraq sarà disponibile anche attraverso i canali europei.
"Non aspiro a nessun premio, per me era importante il messaggio, che vale più del lato artistico" afferma la regista in un'intervista al GdP. "Le persone che ho incontrato non godono di alcuna protezione: dall'oggi al domani possono essere massacrate senza pietà. Se la direzione non vede l'importanza di questo grido di aiuto, ma solo il lato tecnico... per me è vergognoso. È un film sulla sofferenza umana, riguarda tutti noi da vicino."
Il direttore artistico del festival, Carlo Chatrian, ha dichiarato che "Noun" utilizza un linguaggio troppo televisivo. "Mi chiedo quali sono i criteri che definiscono cosa è televisivo e cosa è cinematografico" replica lei. "Un documentario, lo dice la parola, ha il compito di documentare, non può manipolare, falsificare o abbellire la realtà. Inoltre mi chiedo se il signor Carlo Chatrian abbia una vaga idea di cosa vuol dire girare un film in quelle condizioni, quando sai che i terroristi dell'ISIS si trovano a mezz'ora di distanza da dove sei tu e da dove stanno le persone che stai intervistando. In queste situazioni il tempo per pensare ai dettagli artistici passa decisamente in secondo piano. Basti pensare che, quando ho accettato l'incarico della Minority Rights Group, ho dovuto fare i conti con la possibilità che non tornassi a casa viva. Per la prima volta in vita mia, prima di partire, ho scritto testamento."
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