
Attivi per 836,3 milioni di franchi, di cui 444 in un portafoglio di 2’861 tra appartamenti, proprietà commerciali, hotel, riserve di terreno e progetti di costruzione. Altri 329 milioni in attività finanziarie, tra cui azioni e obbligazioni. Questo il totale del patrimonio posseduto dal sindacato Unia che ha portato a diverse critiche da parte di personalità politiche e da media oltralpe, tra cui il Blick che parla di “padroni rossi”. Ticinonews ha intervistato Giangiorgio Gargantini, segretario di Unia per il Ticino, per sapere la sua versione.
Da dove vengono tutti questi soldi?
“Unia è una grande organizzazione , forte finanziariamente, e siamo contenti che lo sia. Tra le nostre fila contiamo più di 180’000 associati, 1’200 collaboratori e centinaia di uffici in tutta la Svizzera. È un’organizzazione importante e va finanziata, sarei in difficoltà se fossi qui a parlare di cifre difficili perché abbiamo comunque una responsabilità verso collaboratori e aderenti. Questi fondi arrivano da un centinaio di anni di storia e di lavoro fatto dai compagni e le compagne delle federazioni che poi sono confluite in Unia. Si parla di patrimonio immobiliare ma ci sono anche lasciti”.
Perché questa cifra è uscita solo in questi giorni?
“È una cifra conosciuta dagli associati e dai collaboratori di Unia, che votiamo ogni anno nelle nostre assemblee, 13 assemblee regionali e una nazionale. I documenti pubblicati sono conosciuti dai delegati, votati e accettati ogni anno”.
Regazzi ha detto “hanno più soldi delle associazioni padronali”... fa un po’ strano.
“C’è una piccola differenza, questi sono i nostri fondi e con questi fondi organizziamo le nostre attività. Le organizzazioni padronali di Regazzi quando organizzano una campagna vanno a battere cassa tra gli associati e tra i membri. Noi questo non lo facciamo. Con quei soldi per esempio finanziamo il servizio giuridico, che significa pratiche legali e difesa giuridica degli associati, proprio per difendersi da datori di lavoro che non rispettano la legge”.
Si parla di 2’861 proprietà per un valore di 443,6 milioni di franchi. Serve tutto questo a Unia?
“Serve sì perché è da lì che arriva questa solidità. C’è da sottolineare che Unia ha condonato intregralmente gli affitti per tutte le attività commerciali ferme a causa del lockdown. Vuole quindi essere un proprietario progressista in questo senso, e lo è. Ancora una volta: la storia del movimento fa sì che si costruisce attraverso a questa solidità. Le reazioni negative degli ultimi giorni non vengono dai lavoratori e dai membri di Unia ma dal padronato, che ha paura di avere in faccia un rappresentante sindacale solido e con una forza anche economica”.
Facendo un paragone estremo: per le casse malati si dice “diminuiamo le riserve per fare premi più bassi”. Non si potrebbe fare qualcosa di simile per i lavoratori che pagano comunque una tassa al sindacato?
“È un paragone decisamente estremo. Il primis, la cassa malati è obbligatoria, il sindacato no. Due, le casse malati hanno dei consigli d’amministrazione e distribuiscono dividendi, noi no. Tutte le entrate del sindacato sono messe a disposizione e reinvestite nella difesa dei lavoratori e delle lavoratrici che, su base volontaria (nonostante il mito dell’adesione automatica), si iscrivono al sindacato con quote conosciute e legate al salario. Questi vogliono aderire a un’associazione forte e sono contenti di fare parte di un sindacato forte. La critica potrebbe essere mossa se questi soldi fossero investiti malamente o se ci fossero problemi di linea politica o sindacale”.
In questa situazione economica non si potrebbe fare uno sforzo e abbassare le quote?
“Lo sforzo dev’essere fatto, in accordo con i lavoratori, per aumentare i salari, non per diminuire le quote. Se aumentano i costi lottiamo allora per aumentare il potere d’acquisto e permettere di pagare, per dire, l’aumento del caffé. Qualcuno diceva addirittura che se ci sono salari bassi Unia potrebbe compensare questi salari, come se dovessimo compensare i salari che le aziende non versano. No, il ruolo del sindacato è quello di lottare per avere migliori condizioni e per quello dobbiamo essere forti anche finanziariamente”.
La quota media è di 320 franchi all’anno, conferma?
“In Ticino è un po’ più bassa, attorno ai 20-22 franchi al mese. Poi evidentemente le quote solo legate ai salari: tutti i lavoratori pagano la stessa percentuale di salario, dunque più i salari sono importanti maggiore sarà la quota pagata. In Ticino, essendoci purtroppo salari mediamente più bassi, le quote saranno mediamente più basse”.
Temete che questa vicenda possa danneggiarvi o portare acqua al mulino degli avversari?
“Non credo proprio, io credo anzi che gli atteggiamenti di questi giorni denotino paura da parte padronale. Questi soldi, per esempio, sono utilizzati per i fondi di sciopero: quando andiamo a lanciare un movimento di sciopero la parte padronale punta sul fatto che a breve i lavoratori dovranno riprendere a lavorare per avere delle entrate. Il fatto di avere un sindacato solido dietro può assicurare dei fondi di sciopero per accompagnare lavoratrici e lavoratori a difendere le proprie condizioni di sciopero. Poi se si vogliono fare polemiche sterili risponderò senza nessuna paura”.
È stupito da queste reazioni? Non c’è un po’ di imbarazzo?
“No, non sono stupito. Le conosciamo, per esempio quelle del Mattino della Domenica due giorni fa. Forse dovremmo assumere una persona al 50% per rispondere regolamente alle cose che leggiamo regolarmente sul sindacato, con tanto di “kappa”, dollari ecc. Ma anche altre reazioni da parte padronale... non siamo stupiti. Facciamo paura. Sull’imbarazzo, no: l’importante è come sono utilizzati questi soldi. Ripeto, non ci sono consigli d’amministrazione, non ci sono dividendi, non versiamo bonus... questi soldi sono utilizzati nell’interesse dei lavoratori e delle lavoratrici. E se questi non sono contenti di come li utilizziamo ce lo dicono e ne discutiamo nelle assemblee e nei congressi sindacali. Rispondiamo a loro, non discuto sicuramente di strategie sindacali con il mondo padronale. Saremmo imbarazzati se mai se dovessimo venire qui a commentare gravi difficoltà economiche e quindi un rischio per quei 1’200 dipendenti già citati”.
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