
L’11 marzo 2020 il Consiglio di Stato annunciò le prime misure di confinamento contro la diffusione della pandemia da Covid. Le autorità sanitarie cantonali e federali già nei giorni precedenti avevano emanato direttive molto chiare sul distanziamento e sui limiti di accesso a strutture come ospedali e case anziani, dove risiedono persone vulnerabili. Ciononostante, alla casa anziani di Sementina, di proprietà della città di Bellinzona, fino a metà aprile continuarono a tenersi attività di gruppo come atelier creativi e tombole itineranti senza rispettare il distanziamento sociale. Soprattutto, sintomi influenzali o sospetti casi Covid non furono gestiti secondo le norme, permettendo ai residenti di muoversi liberamente all'interno della struttura. Ad esempio, nonostante un residente abbia manifestato febbre e vomito ha continuato a partecipare ad attività di gruppo e fu sottoposto ad analisi di laboratorio soltanto due settimane dopo i primi sintomi. ll residente morì il 13 aprile. Come lui, altri 21 su un totale di 80. Quasi la metà degli ospiti si ammalò di covid. È quanto riportano i tre decreti d’accusa emanati lo scorso maggio dal Ministero pubblico nei confronti del responsabile del Settore anziani comunale, della direttrice sanitaria, entrambi ancora attivi professionalmente, e di una terza persona allora operativa all’istituto come capocure, che nel frattempo ha beneficiato del pensionamento anticipato.
Imputati alla sbarra
Decreti impugnati e contestati da tutti e tre gli imputati che oggi, con responsabilità diverse, sono quindi comparsi di fronte alla Pretura penale presieduta dalla giudice Elettra Orsetta Bernasconi Matti per rispondere di ripetuta contravvenzione alla Legge Federale sulla lotta contro le malattie trasmissibili dell’essere umano. Titolari dell’inchiesta sono il Procuratore generale Andrea Pagani e la procuratrice pubblica Pamela Pedretti. Caduta per contro l'ipotesi di omicidio colposo, formulata quando l'incarto fu aperto.
Accuse respinte
“Le accuse nei miei confronti non sono basate sui fatti e sugli eventi svolti durante la mia attività”, ha dichiarato questa mattina in aula la direttrice sanitaria ridimensionando la sua responsabilità. “Questo perché", ha spiegato la donna ripercorrendo i fatti, "residente per residente, in quel periodo frenetico c’era una grande collaborazione con i medici di famiglia. In molti casi non sono intervenuta direttamente, in altri non sono nemmeno stata interpellata visto che il referente era appunto il medico di famiglia. Quando l'ho invece ritenuto necessario ho subito predisposto tamponi e isolamenti”. L'imputata ha anche spiegato la complessità dello stato di salute dei residenti. "Persone anziane possono presentare disturbi come nausea anche in seguito ad una cena pesante", ha detto, ricordando quanto in quel periodo poco si conoscesse del Covid con direttive che cambiavano di giorno in giorno. La donna ha anche allontanato da sé alcune colpe chiamando in causa ausiliari di cura e sottolineando di essersi subito mossa per contenere la pandemia. "Appena si seppe del primo caso di coronavirus in Ticino", ha spiegato, "scrissi al direttore amministrativo che occorreva fare qualcosa". "Tanto è vero, ha dichiarato dal canto suo l'uomo, che già il 26 febbraio abbiamo imposto l'uso della mascherina e informato tutti i collaboratori". L'imputato ha poi spiegato che tutte le informazioni ufficiali arrivavano anzitutto a lui, che poi le comunicava ai direttori sanitari i quali, a loro volta, coinvolgevano i capi struttura.
"Non abbiamo violato alcuna direttiva"
"Non abbiamo violato alcuna direttiva. Abbiamo deciso di continuare con le attività di gruppo per permettere ai residenti di continuare a vivere", ha aggiunto il direttore parlando di "decisione condivisa". "Per noi con attività socializzanti si intendeva il divieto di coinvolgere persone esterne all'istituto come la banda o chi fa le castagne", ha specificato la direttrice. La capocure ha confermato di aver ricevuto la direttiva di organizzare delle attività al piano che limitassero al massimo i contatti con le persone ma che stimolassero sensorialmente e cognitivamente. Attività poi sospese per imposizione del medico cantonale con l'aumento dei contagi.
“Eravamo disperati”
Le cose precipitarono poi molto velocemente. In tre settimane morirono 22 residenti. “Ci siamo accorti di quanto stava accadendo”, ha dichiarato con la voce strozzata in aula la direttrice sanitaria. “Ci siamo accorti che i residenti morivano e che gli ultimi occhi visti erano quelli di noi come personale curante. Abbiamo chiesto l’aiuto del Care team e in quella email si leggeva tutta la nostra disperazione”.
Le proposte di pena
Gli imputati sono difesi dagli avvocati Luigi Mattei, Edy Salmina e Mario Postizzi. Il dibattimento, per motivi di spazio, si sta tenendo al Tribunale penale federale di Bellinzona. Le proposte di pena sono di 8'000 franchi di multa per la direttrice sanitaria, 6'000 franchi per il direttore amministrativo e 4'000 franchi per la terza persona.