Ticino
L'ultimo volo del presidente di Lugano Airport
L'ultimo volo del presidente di Lugano Airport
L'ultimo volo del presidente di Lugano Airport
Redazione
7 anni fa
Dopo 13 anni, Emilio Bianchi ha rassegnato le dimissioni. E adesso racconta la sua esperienza: "I politici nel CdA condizionati dalle dinamiche elettorali"

Ormai due mesi fa Emilio Bianchi ha rassegnato le dimissioni da presidente del Consiglio di Amministrazione di Lugano Airport. E adesso, intervistato da Bruno Pellandini del Corriere del Ticino, racconta i 13 anni passati a gestire una realtà che continua a far discutere, togliendosi anche qualche sassolino dalla scarpa.

Avvocato Bianchi, lei conosce molto bene il mondo dell’aviazione sia nei suoi aspetti piacevoli (è pilota) sia in quelli che lo sono meno (è stato per anni inquirente per gli incidenti delle Forze aeree). Come è stato il primo impatto con Lugano Airport da presidente, cioè dal momento in cui si è trovato nella cosiddetta stanza dei bottoni?«I primi mesi sono stati intensi e molto impegnativi, in quanto si dovevano riunire nella SA tre realtà molto diverse: il personale dell’azienda comunale Lugano Airport, una parte del personale di Avilù SA e una parte dello staff di terra di Swiss. Da subito però siamo stati confrontati con i problemi di sempre, ovvero il coordinamento non sempre facile tra azienda, CdA, direzione e Municipio. Per non parlare del rapporto con tutti gli operatori. In un certo senso un aeroporto è un po’ come un centro commerciale dove sono attive diverse componenti che hanno interessi non sempre convergenti. Per la prima volta inoltre vi era un direttore a tempo pieno e bisognava ripensare l’organizzazione dell’azienda-aeroporto dopo che Crossair prima e Swiss poi avevano ridotto la loro presenza per quelle attività che Lugano Airport doveva riprendere. Nel contempo era nata Darwin Airline, che voleva assumere un ruolo importante. Eravamo confrontati con sfide importanti e né l’allora direttore, né io avevano esperienza diretta di gestione di un aeroporto».

Gli ultimi anni di Lugano Airport sono stati particolarmente difficili: dal flop di Minoan Air al fallimento di Darwin, passando per le pressioni della politica e la necessità di una nuova ricapitalizzazione: da presidente, a livello umano, come ha vissuto questi scossoni? Cosa ha significato per lei l’aeroporto e cosa vuol dire lasciarlo?«La grande difficoltà è sempre stata quella di chiarire i ruoli delle varie istanze. Un aeroporto, ma in generale tutte le aziende confrontate con delle difficoltà, possono sopravvivere solo se vi è gioco di squadra e un leader che sappia motivare il gruppo. In una SA come Lugano Airport abbiamo avuto direttori spesso diversi nel carattere nell’esperienza professionale che dovevano interagire con un CdA la cui composizione troppo spesso cambiava. I rappresentanti politici, pur molto motivati e attivi, spesso sono condizionati da considerazioni di natura elettorale; e purtroppo gestire un aeroporto significa prendere decisioni che non necessariamente sono in linea con certe dinamiche elettorali. E capisco la difficoltà nel trasmettere il messaggio che le risorse investite in un aeroporto hanno un beneficio a medio-lungo termine e non tangibile. Abbiamo anche dovuto subire tre lutti con il decesso di tre consiglieri con un ruolo molto profilato; Roberto Fisch, Giuliano Bignasca e Michele Barra. Anche questi eventi hanno segnato la nostra attività, dovendo ricomporre ogni volta il CdA. Con le dimissioni ritengo di non “lasciare” l’aeroporto, visto che continuerò a svolgere altre attività sempre di natura aeronautica, quale per esempio per il momento la presidenza di Avilù, dove vive uno spirito diverso che è quello della formazione. Lasciare quest’attività in questo momento difficile può sembrare inopportuno; ma il ricambio è sempre necessario, soprattutto in attività così intense. Un equipaggio stanco dopo un certo numero di ore o scali va cambiato; anch’io ritengo di essere giunto a un punto dove ci vuole un uovo impulso. Con Filippo Lombardi Lugano Airport SA avrà un filo diretto con la Berna che conta».

L'intervista completa nell'edizione odierna del Corriere del Ticino

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