Porti. È questo il nome della 16esima edizione di Chiassoletteraria iniziata qualche giorno fa. E tra i protagonisti di una rassegna così titolata non poteva mancare in agenda l’ambientalista, attivista e comandante di nave tedesca Carola Rackete che è stata intervistata dai colleghi di Ticinonews.
La chiusura del porto e l’arresto
Rackete, lo ricordiamo, è diventata nota a livello internazionale quando, al comando della nave da salvataggio Sea-Watch 3, nel giugno del 2019 decise di forzare la chiusura del porto di Lampedusa, non rispettando il divieto di ingresso stabilito dal governo italiano. Aveva a bordo 42 migranti in condizioni drammatiche provenienti dalla Libia. Arrestata con l’accusa di resistenza a una nave da guerra e tentato naufragio, fu dapprima posta agli arresti domiciliari, quindi prosciolta dopo tre giorni dal giudice per le indagini preliminari che ha infine archiviato il caso non ravvisando elementi di colpevolezza. Nel gennaio 2020 la Corte suprema di cassazione italiana ha stabilito che il rilascio da parte del Gip era legittimo e che Rackete non avrebbe dovuto essere arrestata.
Siamo confrontati con una nuova crisi umanitaria. Vede delle differenze sostanziali nella gestione di questa crisi?
Tutte le nazioni europee si sono date da fare, senza problemi hanno accolto le persone che cercavano sicurezza. Questo vuol dire che c’è una possibilità e la stessa possibilità doveva essere data alle persone che scappano dall’Afghanistan, dalla Siria e da altri paesi. Dopo la crisi ucraina non è possibile dire che non è possibile dare questi aiuti.
È stata fatta una distinzione netta tra i tipi di migranti
Nel mondo ci sono tantissimi casi di razzismo strutturale quando abbiamo a che fare con i migranti. Io se decido di andare nel Regno Unito o in Svezia posso farlo senza persone ma ci sono persone che non possono muoversi liberamente e anzi, vengono criminalizzati alla frontiera, vengono imprigionati o vengono fatte annegare nel Mediterraneo. Questa lotta contro il razzismo non va fatta solo al confine ma anche dentro, in tutte le parti della nostra società: nelle scuole, nelle società sportive o nelle associazioni ambientaliste.
La guerra in Ucraina sta già creando problemi per approvvigionamento di cereali. Dobbiamo aspettarci un’estate impegnativa nel Mediterraneo?
Vedo un rischio elevato che soprattutto le crisi in corso vengano semplicemente dimenticate, come la carestia nell’Africa Orientale. Io penso che in futuro ci sarà sempre una crisi da qualche parte, quindi bisogna trovare dei sistemi per risolvere questi problemi strutturali. La mancanza di cibo non è mai stata data dal fatto che non ce n’era abbastanza ma dal fatto che era distribuito in maniera sbagliata. Dobbiamo risolvere il problema di distribuzione condividendo le risorse in maniera più equa.
Si è confrontata con le grandi sfide del nostro tempo. Qual è la sfida più urgente?
Penso che la sfida principale sia lo squilibrio di potere tra noi persone comuni e la grande industria e i miliardari al mondo. Questo mi preoccupa tanto perché limita la partecipazione democratica e la possibilità di fare delle scelte che siano più eque per la maggior parte degli abitanti del pianeta. Tutti dovremmo impegnarci per maggiore inclusione, per ridurre il problema di squilibrio di potere e per riuscire ad agire in maniera democratica.
Ha passato degli anni difficili e non si è mai tirata indietro. Chi glielo fa fare?
Non dobbiamo sottovalutare l’importanza del lavoro di gruppo, anche quando la tua energia ti sembra bassa c’è sempre un compagno di lotta politica, un amico, un’amica o un famigliare pronto a motivarti ad andare avanti. È importante capire che è solo come comunità che si può trovare l’energia per poter cambiare.
Carola Rackete incontrerà il pubblico al Cinema Teatro sabato 14 maggio alle 13:00. In quest’occasione parlerà anche del suo libro “Il mondo che vogliamo e quello che non vogliamo”
© Ticinonews.ch - Riproduzione riservata