
Anche se ieri il numero di infezioni ha toccato un livello mai visto, il numero di malati da coronavirus nelle unità di terapia intensiva in Svizzera è diminuito: ce ne sono 247, rispetto ai 325 di tre settimane prima. Lo ha affermato davanti ai media il “ministro” della sanità, Alain Berset, presentando i provvedimenti decisi dal Consiglio federale per arginare la pandemia. Le regole “2G” e “2G+” negli spazi interni, ricordiamo, sono state prorogate fino alla fine marzo, mentre l’obbligo del telelavoro e le disposizioni attuali riguardanti la quarantena dei contatti sono stati prolungati sino a fine febbraio. Per analizzare l’attuale situazione epidemiologica i colleghi di Teleticino hanno interpellato il direttore dell’Epatocentro Ticino Andreas Cerny.
La situazione è critica, ma sotto controllo. Condivide questa interpretazione e le misure decise dal Consiglio federale?
“La pressione sugli ospedali può variare. Non sono sicuro che tutti i direttori di ospedali in Svizzera condividono questo punto. La pressione è forte in certe regioni. Siamo sicuramente contenti che l’aumento dei nuovi casi in ospedale non sia così importante. Spaventa comunque il numero dei nuovi casi diagnosticati, anche sapendo che il tasso di positività è molto alto. Vuol dire che ci sono tanti casi non diagnosticati in questo momento. Sono comunque contento che non ci sono stati degli allentamenti perché la situazione non lo permetterebbe”.
Una settimana fa diceva ancora che occorre maggiore prudenza. Bisogna attendere una decina di giorni per capire se siamo su una buona o cattiva strada. Il dato dei ricoveri in Ticino sembra nel frattempo quasi essersi cristallizzato. Che considerazioni possiamo fare in questo momento?
“La popolazione probabilmente si difende di più perché è più immune e vaccinata. Il virus è un po’ diverso nella tipologia di malattia che può generare. Si conferma anche il fatto che la maggior parte dei pazienti che sono in ospedale non sono vaccinati o lo sono solo parzialmente. In questo momento occorrerebbe una spinta forte per la terza vaccinazione, attualmente solo il 35% della popolazione l’ha fatta”.
Chi finisce in ospedale in terapia intensiva è perché si è preso la variante Delta o Omicron?
“Recentemente il medico cantonale di Zugo Rudolf Hauri ha detto che la maggior parte dei pazienti si è infettata con la Delta. La Svizzera ha avuto la sfortuna di avere un’ondata Delta, a cui si è sovrapposta l’ondata Omicron. In Austria c’è stata la separazione di queste due ondate”.
Il professor Alessandro Diana ai microfoni di Teleticino ha detto che la variante Omicron ci ha, in un certo senso, difeso dalla variante Delta. Anche secondo lei è così?
“Difficile da dire, la dinamica di queste ondate non sono sempre correlate con quello che stiamo facendo in termini di misure. Sono fenomeni complessi che non capiamo ancora del tutto. In Sudafrica c’è stata una rapida discesa di Omicron, che è sorprendente, così come nel Regno Unito. A un certo punto queste ondate passano, spero anche da noi”.
Se Omicron sembra avere effetti più blandi, la Delta continua ad esserci. Omicron, comunque, non cancellerà la Delta, continueranno a convivere insieme?
“Nelle nuove infezioni oltre il 90% sono Omicron. Quest’ultima dà una grossa protezione, è un’immunità che protegge anche contro la Delta. Non capiamo ancora bene questi fenomeni di sparizione di certi tipi di virus, però la Delta è destinata a lasciarci. Non so se potrebbe di nuovo essere un problema in futuro quando la nostra immunità di nuovo cala”.
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