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“La domenica non si vende”
©Chiara Zocchetti
©Chiara Zocchetti
Redazione
un anno fa
Le organizzazioni unite nel Comitato “La domenica non si vende” hanno lanciato ufficialmente la campagna a sostegno del referendum contro le modifiche alla Legge sulle aperture dei negozi.

Non una piccola modifica di legge, ma un primo passo verso una liberalizzazione totale degli orari di apertura dei negozi. È con questa motivazione che oggi i sindacati, i partiti e i movimenti di sinistra hanno lanciato ufficialmente la campagna per il tema in votazione il prossimo 18 giugno. Sul tavolo, lo ricordiamo, ci sono tutta una serie di modifiche: l’aumento delle domeniche di apertura da tre a quattro all’anno, il prolungamento fino alle 19 degli orari di apertura nei festivi non parificati alla domenica, ma soprattutto il raddoppio delle superfici di vendita da 200 a 400 metri quadrati dei negozi che potranno godere di un’apertura generalizzata sette giorni su sette.

“Una decisione presa frettolosamente”

Un ampio ventaglio di organizzazioni si sono dunque unite nel Comitato “La domenica non si vende” a sostegno del referendum contro le modifiche alla Legge sulle aperture dei negozi. I motivi per opporsi ai cambiamenti approvati dalla maggioranza del Gran Consiglio “sono tanti e l’ampia adesione al comitato ne dimostra la validità”, si legge in una nota. La decisione del Parlamento è stata presa “con grande fretta, senza nessuna valutazione degli effetti concreti sul personale e senza alcuna ponderazione della reale necessità di intervenire nuovamente sulle regole del gioco a soli due anni dall’introduzione di notevoli cambiamenti e ampliamenti”. La decisione di un’ulteriore liberalizzazione “è stata presa tendendo in considerazione esclusivamente i desideri dei grandi commerci e non le esigenze del personale impiegato nel ramo, di cui le organizzazioni sindacali si sono fatte portavoce”.

I timori

I sindacati che hanno promosso la raccolta delle firme sono in particolare preoccupati degli effetti che queste modifiche avrebbero sui lavoratori. Che questa decisione sia benefica per aumentare il giro di affari del commercio e quindi i posti di lavoro “è solo nelle dichiarazioni retoriche dei promotori delle modifiche. È ora di dire la verità: non sono le chiusure domenicali che favoriscono il turismo degli acquisti all’estero, quanto i prezzi e il potere d’acquisto dei residenti in Ticino”. È noto infatti che i salari in Svizzera “sono del 23% superiori rispetto a quelli ticinesi e questo non favorisce certo chi deve comperare i beni di prima necessità, ma non solo, in negozi i cui prezzi sono stabiliti a livello nazionale”.

"Si penalizzano i piccoli commerci"

Secondo il Comitato, inoltre, studi effettuati in Italia, che da anni ha applicato la liberalizzazione di orari e giorni di apertura, “non sono confortanti”. Si segnala infatti che il giro d’affari rimane costante, “ma che gran parte del fatturato si concentra durante il weekend”. La liberalizzazione, poi, “penalizza i piccoli commerci che hanno meno personale e risorse a disposizione per garantire una disponibilità così ampia”.

Un momento che non deve essere destinato al lavoro

I membri del Comitato “La domenica non si vende” ritengono inoltre che la domenica sia un giorno da dedicare ad altro: famiglia, spiritualità, cultura, riposo, svago, sport. La società, le persone, le famiglie “hanno bisogno di una giornata in cui ci si distanzi dalle normali logiche commerciali per dedicarsi a quanto di più importante c’è nella vita. Un tale ampliamento degli orari di apertura apre la strada a un indebolimento inaccettabile del divieto di lavoro domenicale. Se oggi crollerà la tutela del riposo domenicale nel commercio, prima o poi crollerà in tutti gli altri settori professionali, verso una società dove riposare e passare il tempo con la propria famiglia non sarà più un diritto, ma un lusso che solo pochi privilegiati potranno esercitare”.

 

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