Ticino
Indagine molestie Rsi, reazioni in chiaroscuro
© CdT/Gabriele Putzu
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Daniele Coroneo
3 anni fa
Inevitabili le reazioni all’esito dell’indagine che ha scosso l’azienda radiotelevisiva: si va dalla soddisfazione per la “quota molto bassa” di casi emersi a chi contesta completamente le conclusioni del rapporto, passando per le stoccate “a bocce ferme” fra organizzazioni del settore mediatico

Non si sono fatte attendere le reazioni alla presentazione dei risultati dell’inchiesta della Rsi sul tema delle molestie nei corridoi degli studi di Comano e Besso. Il gremio di legali che ha condotto le indagini ha concluso che sulle 39 segnalazioni raccolte, in cinque casi ci sono state “violazioni della personalità” di entità medio-grave. Nel complesso, un risultato buono per l’Associazione ticinese dei giornalisti (Atg), in particolare “in una azienda con quasi 1100 posti di lavoro e decine di collaboratori esterni”.

“A bocce ferme”
L’Atg saluta “con soddisfazione la volontà della direzione dell’azienda di voler migliorare la propria cultura aziendale per ovviare alle lacune emerse”, specificando di avere atteso di esprimersi sul tema “a bocce ferme” (l’inchiesta, lo ricordiamo, aveva avuto il via nel novembre dello scorso anno) “nel rispetto del lavoro di indagine in corso”. Una precisazione con la quale l’Associazione si smarca pubblicamente dall’operato del Sindacato svizzero dei media (Ssm), istanza che si era occupata della gestione delle prime fasi dell’indagine, accusato di avere contribuito alla diffusione di “gravi sospetti e dubbi, ancora prima di conoscere i risultati dell’inchiesta”: “Vista la “quota molto bassa” dei casi emersi – pari a zero quelli da considerarsi gravi – una maggiore prudenza anche da parte del sindacato interno sarebbe stata più che opportuna”.

Cattiva pubblicità su Le Temps
Il riferimento sembra essere indirizzato in particolare alle esternazioni della sindacalista Ssm e dipendente Rsi Maria Chiara Fornari, che al quotidiano romando Le Temps, giornale che aveva per primo denunciato abusi all’interno della Rts, scatenando un polverone che avrebbe poi travolto pure la Rsi, aveva definito l’emittente di Comano un’azienda dove “le donne vengono umiliate professionalmente e denigrate in pubblico”, commenti che avevano subito attirato il biasimo della direzione della radiotelevisione pubblica.

Link per segnalazioni resta attivo
In ogni caso, oggi il Sindacato svizzero dei media si dice contento dell’esito dell’indagine, il quale “rappresenta un punto di partenza per costruire la nuova cultura aziendale da noi auspicata”, come dichiara ai nostri microfoni Rolando Lepori, co-segretario dell’Ssm. La questione, tuttavia, non è ancora completamente chiusa: il link sul sito del sindacato per segnalare episodi di molestie o maltrattamenti all’interno dell’azienda rimane attivo. “Crediamo che collaboratori che in passato sono stati reticenti a manifestare il loro disagio, nel prossimo futuro potranno decidere di parlare”, commenta Lepori, che conferma di avere parlato con dipendenti che avevano una situazione da segnalare, ma che alla fine hanno preferito non farlo.

“Ridimensionamento di una realtà tutt’altro che idilliaca”
Chi invece non è per nulla soddisfatto dell’esito dell’indagine, nonché delle sue modalità di comunicazione, è il collettivo femminista “Io l’8 ogni giorno”, il quale, anche alla luce di testimonianze da lui raccolte, contesta l’assenza di molestie sessuali e “malessere sistemico” all’interno della Rsi. “Davvero non c’è malessere sistemico in Rsi e soprattutto non c’è stata nessuna molestia sessuale?”, chiedono le femministe. “Di certo questo è il chiaro messaggio che la direzione Rsi vuole far passare. Un entusiasmo che si riverbera anche nel titolo altisonante e mistificatorio dato alla notizia proprio dalla stessa Radiotelevisione: “Nessun caso di molestie sessuali o mobbing alla Rsi”; un titolo che si smentisce leggendo le prime righe e che rende ancora più grave quanto accaduto, perché appare come un malcelato tentativo di ridimensionare una realtà tutt’altro che idilliaca”. Il collettivo suggerisce inoltre che molte segnalazioni non siano state portate avanti dalle presunte vittime per la consapevolezza che non avrebbero condotto a nulla di positivo o addirittura per timore della “perdita del posto di lavoro”.

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