
Tra pochi giorni vi sarà il grande allentamento del lockdown, la grande riapertura di scuole, ristoranti e negozi dell’11 maggio. Ma già dieci giorni fa si era entrati nella fase 2, con alcuni allentamenti. I numeri dei contagi, però, restano bassi. C’è quindi da temere meno le riaperture? Teleticino lo ha chiesto a Christian Garzoni, direttore sanitario della Clinica Luganese Moncucco. “Penso che i numeri di questi giorni erano valori che ci aspettavamo. I numeri che vediamo sono il frutto del lockdown durato per settimane”, ha risposto. “Quando il virus circola poco come adesso , un’apertura come quella di una decina di giorni fa ci mette un po’ a far aumentare i casi. È abbastanza probabile che i casi tenderanno ad aumentare, perché le persone interagiscono di più. Ma siamo comunque in una situazione molto diversa rispetto a febbraio-marzo, perché la popolazione non sapeva cosa fare, oggi invece la popolazione è molto attenta. Io penso che sia abbastanza normale che i numeri restino bassi, la vera apertura avverrà settimana prossima con l’11 maggio, a quel punto ci sarà una grossa interazione della popolazione e lì dovremo aspettare dalle due alle tre settimane per vedere cosa succede”.
Qualcuno sostiene che il virus sia diventato meno aggressivo.“È difficile dirlo, perché oggi abbiamo dei numeri molto piccoli, non abbiamo abbastanza pazienti per dire che ne abbiamo una grande fetta di gravi oppure il contrario. Quello che sappiamo è che i virus hanno una velocità di evoluzione molto rapida, anche solo nell’arco di mesi possono cambiare la forma. Ed è anche chiaro che per un virus sia meglio essere meno aggressivo e rendere meno ammalate le persone, perché in questo caso le persone vanno in giro e quindi riescono a diffondere il virus, mentre lui si replica. Si potrebbe anche ipotizzare che nella prima fase dell’epidemia abbiamo ricoverato i pazienti con i virus più gravi, mentre nello stesso tempo dei ceppi di virus, presenti in parallelo, hanno circolato nella popolazione più libera, quella che aveva meno sintomi o addirittura che era asintomatica. Questi virus più benigni avrebbero potuto circolare più facilmente, mentre quelli più aggressivi venivano prontamente identificati e isolati nelle strutture. Ma queste sono solo ipotesi, stiamo aspettando dei dati sull’analisi dei virus: i virus vengono sequenziati e analizzati e si vede se vi sono delle differenza, nelle prossime settimane ne sapremo di più”.
Parlando delle prossime settimane. Quando vedremo gli effetti della riapertura dell’11 maggio?Quella di lunedì è stata una scelta abbastanza coraggiosa del consiglio federale, penso che con i numeri di adesso era anche una scelta in un certo qual modo giustificata. Vi è la speranza che la popolazione giochi il gioco, sono convinto che in Ticino lo saprà fare. Quando e come i numeri aumenteranno è difficile da dire. Vi è un altro fattore da considerare, la stagionalità. Sappiamo che l’estate gioca un ruolo. I virus respiratori si diffondono meno d’estate perché le persone stanno di più all’aria aperta e meno in locali chiusi. Se la temperatura più alta diminuisce la trasmissione del virus è un tema aperto, probabilmente un po’, ma non così tanto. Quindi è possibile che andando verso il caldo il virus tenda a diffondersi meno, quindi questo aumento di casi ce lo aspetteremmo per fine maggio, potrebbe invece essere un lento aumento nel mese di giugno. Dipende in parte da quanto le persone riusciranno a essere precise e lige nel rispettare le misure e in parte dipenderà dal virus stesso, vedremo”.
Quindi il punto di riferimento è giugno?“Io penso che il punto di riferimento sia l’ultima settimana di maggio e le prime due di giugno, lo vedremo. Quello che posso dire è che i numeri verranno attentamente monitorati. Non guarderemo solo quanti nuovi casi ci saranno ogni giorno, ma anche quante persone consulteranno il medico con sintomi, verranno monitorati i pazienti ricoverati, i pazienti in cure intense, così da identificare in maniera precoce gli aumenti pericolosi.
Parliamo di test sierologici. Molti lo vorrebbero fare, ma voi lo sconsigliate, perché?“Capisco la curiosità di sapere se una persona l’ha fatto oppure no, ma bisogna essere chiari su una cosa importante: avere questo risultato oggi non cambia nulla del modo in cui una persona si deve comportare. Se sono negativo, vuol dire che non ho ancora avuto un contatto con il virus. Il test cerca gli anticorpi, che sono un po’ una cicatrice sierologica della malattia. Se sono positivo, invece, non sappiamo se questi anticorpi forniscono una protezione o meno. E se la forniscono, non sappiamo per quanto tempo. Mesi? Anni? Per tutta la vita è difficile, perché i coronavirus generano solitamente degli anticorpi di corta durata. Quindi uno dei timori è che una persona sapendo che è positiva pensi di aver risolto il problema, di essere immune. È questa la preoccupazione, la stessa dell’OMS che ha vietato la creazione di cosiddetti passaporti vaccinali. Noi consideriamo positivi e negativi sullo stesso piano, tutti con lo stesso rischio. Detto questo. Il test costa un centinaio di franchi, quando un paziente me lo chiede, gli spiego che si può fare, basta farlo in un laboratorio affidabile, però ti costa 100 franchi ma non ti cambia assolutamente niente nella vita. Questa spiegazione di solito fa in modo che la persona non voglia più fare il test”.
Ma questi test sono tutti affidabili?No, non sono tutti affidabili. I test rapidi al dito, la maggior parte hanno una cattiva affidabilità. Per il test sulla popolazione dell’Ufficio del medico cantonale ne abbiamo trovato uno che ha una buona affidabilità al dito, ma non è così affidabile come quello che richiede una punzione alla vena. Abbiamo optato per un test al dito perché questo consente di farlo anche ai bambini, fare i prelievi ai bambini è sicuramente una cosa che non era giustificata solo per sapere l’immunità. I test fatti dai medici di famiglia ce ne sono di diversi tipi, ogni laboratorio offre dei test diversi, sono tutti certificati, ma poi sta alla sensibilità del laboratorio sceglierne uno più o meno affidabile. Io personalmente prima di farlo aspetterei di saperne qualcosa di più.
Ora la strategia è quella del contact tracing. Ma abbiamo le forze per tracciare i contatti a rischio di tutti i malati?“Concretamente tracciare vuole dire che se una persona ha un test positivo, va a casa in quarantena e poi riceve una telefonata dall’ufficio del medico cantonale, al telefono si ricostruisce quali sono le persone con cui si ha avuto un contatto prolungato, più di 15 minuti a meno di due metri. Queste persone vengono poi contattate telefonicamente e vengono invitate a fare una quarantena a domicilio per dieci giorni. È un processo abbastanza macchinoso, perché da una persona positiva si possono avere facilmente 20-30-40 persone che hanno avuto un contatto rilevante. Con i numeri di questi giorni è sicuramente fattibile, l’Ufficio del medico cantonale si sta attivando per rimettere in piedi la macchina di queste persone che telefonano. Ma se l’epidemia dovesse esplodere a un certo punto diventerebbe nuovamente non fattibile. È per questo che l’idea di usare un’app telefonica che faccia questo genere di lavoro è molto interessante. Immaginiamo che il mio telefonino quando si muove si mette in contatto con tutte le persone a cui sono stato vicino. E, al momento in cui scopro di essere positivo, il mio telefonino manda un messaggio a tutte queste persone, è chiaro che tutto diventa più semplice. Non ci vuole più una grossa infrastruttura che chiama tutti uno a uno. La task force federale ci sta lavorando e siamo in attesa anche noi in Ticino di sapere qualcosa in più”.
Si parla invece di tamponi rapidi, di cosa si tratta?“Il tampone rapido in realtà è un tampone simile al tampone, diciamo classico. Se il tampone va a cercare l’RNA del virus. È tecnicamente complesso, va mandato in un laboratorio e ci vogliono generalmente due ore, ma anche di più. Quello rapido va invece a cercare una proteina sulla superficie del virus, ed è un test rapido come un test di gravidanza, nel giro di dieci minuti si ha il risulta. È molto intrigante come test, ma ha un difetto: quando è positivo è sicuramente positivo, ma ci sono tanti falsi negativi. Ci sono tante persone che hanno un Covid-19 ma facendo il test ottengono un risultato negativo. Ma rimane un’opzione che stavamo aspettando e quando diventerà disponibile verrà implementato.
L’OMS ha chiesto di cercare di capire se vi sono stati casi precedenti ai primi casi attualmente conosciuti. In Ticino il primo contagio risale al 25 febbraio, ne avete trovati di precedenti?“Questa riflessione l’abbiamo già fatta in febbraio-marzo. Abbiamo riguardato delle radiografie e delle TAC che a memoria come medico ricordavo, non ne abbiamo identificato nessuno. Quello che è difficile, è che per poter essere sicuri che la persona era malata, bisognerebbe avere del materiale biologico, un tampone o altro risalente ad allora, questo è relativamente difficile. In alcuni casi siamo andati a vedere se i laboratori avevano ancora del sangue, a volte avviene che ne conservino per analisi che vengono aggiunte nel decorso di una malattia, abbiamo testato dei pazienti che avevano delle polmoniti in gennaio e febbraio, però non ne abbiamo trovati. Non escludo però che vi fossero. Se noi ricordiamo come è esploso il virus a partire dal 25 di febbraio, sicuramente durante il mese di febbraio il virus era già nella nostra popolazione”.
C'è chi sostiene che il virus sia sfuggito a un laboratorio cinese, secondo lei?“Questa teoria un po’ complottista penso che dovrebbe essere suffragata da dati scientifici chiari prima di essere sostenuta. Oggi gli esperti di virus lo escludono categoricamente. Una cosa è chiara e sicura: il coronavirus di questo tipo, è un virus ben conosciuto nei pipistrelli. Era stato descritto da tempo in vari pipistrelli asiatici. Se nella mappatura genetica del virus vi fosse stata la prova che è stato creato in laboratorio, sono abbastanza sicuro che sarebbe già stato chiaro”.
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