
È una pagina buia del passato recente svizzero che, da quanto è emerso negli ultimi giorni sulle pagine de la Regione, vede coinvolto anche il Cantone Ticino. Un ennesimo episodio legato all’infanzia dopo lo scandalo scoppiato oltre 40 anni fa attorno all’opera assistenziale di Pro Juventute “Bambini di strada”. Il fenomeno dei “collocamenti coatti” coinvolgeva lo Stato, la Chiesa ma anche tutta la Società Civile, silente e consenziente di fronte a questa sorta di ingegneria sociale in cui i figli illegittimi venivano strappati alle loro madri, considerate non adatte per crescere dei bambini.
La storia di queste infanzie rubate, di questi bambini privati delle loro famiglie ed allevati in istituti è un fenomeno noto da anni in Svizzera, tanto che ad inizio aprile è stata lanciata un’iniziativa di riparazione che chiede d’istituire un fondo di 500 milioni di franchi per risarcire queste persone a cui è stata negata l’infanzia. Ed è di ieri la notizia, pubblicata da la Regione, che Luzius Mader (Delegato per le vittime di misure coercitive) e la Catena della solidarietà hanno stanziato un fondo di 8 milioni di franchi a favore delle vittime di misure coercitive fino al 1981.
I Cantoni di Berna, Friborgo, Glarona, Lucerna e Turgovia hanno già porto le proprio scuse ufficiali ai cosiddetti “internati amministrativi”. In Ticino per il momento il tema resta un tabù, ma si spera che la testimonianza di uno di questi bambini strappati alla proprio madre e di un’altra ragazza sterilizzata perché nomade portino alla luce altri casi di questa pratica generalizzata e protetta per lungo tempo dal diritto.
Il presidente del Governo e direttore del DECS, Manuele Bertoli, commenta questa pratica ed apre uno spiraglio verso il riconoscimento ed il risarcimento di tutti coloro che per almeno mezzo secolo sotto il marchio di “internati amministrativi” si sono visti privati del diritto di vivere con la propria famiglia.
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