Ticino
“Il Festival è un evento di condivisione”
Redazione
un anno fa
Il giornalista e critico cinematografico Lorenzo Buccella ripercorre la storia di questa manifestazione nel suo libro “Locarno on/Locarno off”

In occasione del 75esimo anniversario del Festival di Locarno, il giornalista e critico cinematografico Lorenzo Buccella ha voluto ripercorrerne, nel suo libro ‘Locarno on/Locarno off’, la storia, più e meno nota, di questo evento, raccontando avvenimenti, fatti e retroscena. Ieri Buccella è stato ospite del telegiornale di Ticinonews, nel corso del quale gli abbiamo rivolto alcune domande.

Perché hai deciso di scrivere questo libro?

“Per un atto d’amore, sostanzialmente. Ci si immagina che la cultura sia sempre lontana, poi, come è successo a me da giovane, capiti d’agosto a Locarno da ragazzo e scopri che il mondo arriva lì. In quel momento è nato questo percorso, perché un film è sempre una finestra sul mondo. Da lì è nato l’innamoramento e ho sempre passato il mese di agosto a Locarno, in tutte le vesti; prima come appassionato, poi come critico cinematografico e poi come responsabile del giornale del festival, del daily, Avevo già scritto un libro e qui c’era un’occasione troppo ghiotta per raccontare la storia ufficiale, del noto, ma anche per cercare di restituire l’atmosfera del dietro le quinte, di tutto ciò che rimane tra un film e l’altro”.

Ci racconti qualche fatto meno noto?

“Sono tanti, e il bello è che c’è gente adesso che mi ferma e me ne racconta altri. In realtà questo è il punto: è un evento di condivisione e la Piazza Grande è un grandissimo frullatore dove si mischiano le persone. Tutti hanno un aneddoto su qualcuno che hanno incontrato per strada, ad esempio chi ha preso un taxi con Nanni Moretti ad esempio, e aumentano man mano. Io ne ho raccontati alcuni ai quali ho assistito in presa diretta dagli anni ’90 in poi, mentre quelli del passato me li hanno raccontati. Per citarne uno, al tempo del Grand Hotel, c’erano dei giovani che, attratti dallo schermo, salivano sugli alberi per cercare di guardare il film, e il direttore artistico di allora, Vinicio Beretta, li lasciava fare, perché quelli sarebbero stati gli spettatori del futuro. Mi sembra un’immagine molto bella per ribadire questa continuità, questo passaggio di testimone che c’è di generazione in generazione”.

Ci sono poi i big arrivati a Locarno negli anni, come ad esempio Marlene Dietrich...

La Dietrich è stata uno spettacolo nello spettacolo. C’è un bellissimo archivio della Svizzera tedesca che la ritrae quando arriva alla dogana di Ponte Tresa, e sale il Vecchio Ceneri per arrivare poi ad Ascona dove ci sono i paparazzi ad attenderla. C’è anche una voce fuori campo che la prende un po’ in giro e dice “anticipata da questo profumo francese”. Ma perché? Perché lei arriva e per contratto non può parlare, passa tutta la sera del Gran Galà zitta, come fosse una diva del cinema muto. Invece era solo per una questione di contratto”.

E su Wenders?

“Bisogna pensare che Piazza Grande, anche se ai tempi non ospitava ancora 8'000 persone, era la platea del rock e anche i grandi registi non erano abituati a tale platea. Quindi c’è stato chi, come Wim Wenders, era terrorizzato prima di salire sul palco. Lui addirittura si è nascosto in un bagno e c’è voluto tutto un lavoro diplomatico per riportarlo sul palco. Era per il film “Il cielo sopra Berlino” e lui ha detto che è stata una delle proiezioni più belle della sua vita, perché su questo grande schermo sembrava davvero che gli angeli si accampassero sul cielo di Locarno”.

75 anni non sono pochi. Quanto studio e quanta ricerca ci sono dietro a questo libro?

“C’è molta ricerca, nel senso che io ho seguito il Festival dagli anni 90’, come detto, per cui c’è larga parte del mio vissuto dentro, anche se è ovvio che tante cose si dimenticano. Poi c’è la volontà di andare a studiare cosa è successo prima: si va a cercare, si fruga negli archivi, si va a leggere chi ha scritto in precedenza. Tant’è vero che anche nella parte “on” mi piaceva l’idea di cercare di restituire, per chi non la conoscesse per intero, la storia del Festival in un unico sguardo, cioè in un numero di pagine molto limitato e scorrevole, ma che ti dà l’idea dell’inizio, nel 46’, e della fine”.

Vuoi parlarci della nascita del Festival? Anche questa è particolare

“All’epoca esisteva già una rassegna internazionale a Lugano e venne fatta una votazione per costruire, all’interno di parco Ciani, un grande anfiteatro che avrebbe dovuto ospitare il festival. Il popolo, però, disse di no. Locarno fiutò allora l’occasione e nel giro di poco tempo si disse “perché non lo facciamo noi quel festival?” Dodici personalità della città si misero insieme e in poco tempo, in tre mesi, il 23 agosto del 46’, partì la prima proiezione”.

A proposito di fiuto: anche Piazza Grande inizialmente doveva essere una boutade. E invece...

“C’è stato un momento in cui il festival, dopo il cinema all’aperto del Grand Hotel, è tornato nelle sale: eravamo vicino al 68’, bisognava avvicinarlo agli studenti e addirittura nel calendario l’evento si spostava verso settembre. Poi però nel 71’ c’è stata la volontà di ritornare al formato precedente e all’architetto Livio Vacchini è venuta un’idea folle: trasformare Piazza Grande in una sala cinematografica. Raimondo Rezzonico, intuite le potenzialità, ha iniziato questa perlustrazione. Entravano addirittura nelle case di Piazza Grande per cercare di non fare corto circuiti elettrici. Da allora, dalla partenza meravigliosa con “Prendi i soldi e scappa” di Woody Allen, è un aumento di sedie continuo”.

A proposito di trasformazioni, anche il tuo libro ne ha subita una: da libro a (anche) documentario

“È stata, diciamo, una conseguenza. Stavo già lavorando al libro e tornando da Roma, dove facevo il corrispondente della Rsi, ho detto: “se volete, ho già frugato a lungo negli archivi. Si può fare un racconto televisivo”. Chiaramente cambia il passo e ti appoggi molto di più ai contributi video. È un altro tipo di racconto, che ho tentato di mantenere ugualmente emotivo, cercando sempre di rimanere sull’accesso più largo, in modo che possa piacere sia a chi è amante del cinema sia a chi si approccia e scopre delle cose di Locarno che magari non sapeva”.

Come lo vivi il Festival?

“È il primo anno di passaggio, perché per 12 anni sono stato responsabile del daily, come detto, e quindi tantissimi film li vedevo già prima. Adesso avrei già visto quasi tutto il Festival. Quest’anno invece torno ai vecchi tempi, per cui farò dei percorsi. Diciamo che non sono “magro” nelle scelte. Cercherò di vedere il più possibile”.

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