Ticino
I test sierologici sono iniziati anche in Ticino
I test sierologici sono iniziati anche in Ticino
I test sierologici sono iniziati anche in Ticino
Redazione
5 anni fa
Il Medico cantonale Giorgio Merlani spiega come una serie di studi sugli anticorpi stiano partendo nel nostro Cantone

Alcuni studi portati avanti attraverso test sierologici sono già partiti anche in Ticino, lo ha rivelato il medico cantonale al Tg di Teleticino. Giorgio Merlani ha spiegato che gli studi sono diversi e svolti da diversi soggetti, uno anche dall’Ufficio del medico cantonale. Questo in particolare studierà il decorso dell’eventuale immunità alla malattia, con dei prelievi di sangue ripetuti nel tempo per comprendere lo sviluppo della presenza di anticorpi.

Ma lo ricordiamo, Giorgio Merlani è risultato recentemente anch’egli positivo al test, motivo che lo ha costretto a diradare anche la sua presenza sui media. Quindi, la prima domande è d’obbligo

Giorgio Merlani, come sta?“Sto bene, sto bene grazie. Ho avuto fortuna. Bisogna però sottolineare che non va sempre così bene per tutti e non è sicuramente una malattia da sottovalutare. Può avere un impatto grave anche su persone giovani e quindi mi è andata bene. Mi sono ripreso rapidamente, sono tornato al lavoro, ma non sottovalutate la malattia”.

Sappiamo che anche in Ticino si è iniziato ad eseguire test sierologici. Ci può fornire qualche dettaglio in più?“Ci sono tutta una serie di studi che stanno partendo, i dettagli andrebbero chiesti ai vari enti che li organizzano. Lo stesso ufficio che dirigo sta partendo con uno studio sierologico sulla popolazione e questo sta avvenendo anche a livello dei vari cantoni, così come a livello federale.

Cosa si cerca di scoprire?“Si vuole sapere qual è la percentuale di popolazione che è già stata in contatto con il virus e che quindi si può partire dal presupposto che queste persone siano già diventate immuni. Questo per capire il rischio di una seconda o di una terza ondata al momento della riapertura. Ci sono alcuni studi che prevedono di basarsi sul personale sanitario, altri sulla popolazione. Il nostro analizzerà la popolazione nel decorso: faremo un prelievo all’inizio, poi dopo tre mesi, poi dopo sei mesi per vedere come cambia l’immunità nelle persone”.

Si potrà quindi avere una specie di “patentino” d’immunità?“Sappiamo ancora molto poco di questo virus. Si sa che generalmente quando si fa una malattia virale poi si diventa immuni, ma per il coronavirus non è così scontato. Prima di parlare di immunità e di quanto può durare questa immunità, bisognerà avere ulteriori dati. Quindi dire che il fatto di aver fatto la malattia permetta di avere un “patentino” di immunità mi sembra un po’ azzardato”.

Cosa vi aspettate dai risultati?“Le finalità di uno studio di questo tipo è capire quale parte della popolazione è entrata in contatto con il virus, quindi se c’è un 5% che ha già fatto la malattia, e probabilmente non la rifarà, o se c’è un 80%. Nei due casi l’impatto sulla diffusione del virus è radicalmente diverso. Noi non pensiamo che sia così alto il tasso di immunità nella popolazione: bisogna calcolare che per un virus di questo tipo che ha un tasso di replicazione R0 che è circa di 2,5, ci si immagina che circa il 60-65% della popolazione dovrebbe essere immune prima di avere un effetto reale sulla diffusione”.

Anche oggi i dati del contagio sono molto bassi. L’impressione è che spinga la popolazione ad abbassare il livello di attenzione, condivide?“È vero i tassi di contagio sono scesi in maniera importante, capisco che la gente sia un po’ stufa di sentirsi blindata in casa ed è per questo che stiamo anche cercando di riaprire progressivamente. Ma questo non significa che tutto sia finito, che tutto vada bene e che si possa andare tutti in giro a fare le grigliate di gruppo. Se la gente esce un po’ di casa, se va a fare la spesa, ma osserva le prescrizioni d’igiene, la distanza sociale e fa un po’ attenzione, questo potrebbe essere compatibile col riprendere la vita il più normale possibile senza aumentare il rischio di contagio. Se la gente pensa che sia finito tutto, ‘chiudiamo il virus’ e possiamo ricominciare a vivere la vita di prima, questo sarebbe un azzardo. Il virus è sempre lì fuori, adesso la quantità di persone infettate attivamente contagiose è molto meno di quello che era un mese fa.

Quindi bisogna mantenere ancora alta la guardia?“Il virus c’è ancora e ogni contatto a rischio, senza le misure di igiene e senza la distanza adeguata, può portare a un nuovo contagio. È un problema di massa critica, se ci sono dieci persone che ne contagiano 2-3 alla volta, è un discorso, se diventano 100 che poi passano a 1'000, è tutto un altro concetto. Perciò è fondamentale cercare di vivere in modo più possibile normale, ma rispettando tutte le prescrizioni d’igiene e di distanza sociale.

Ieri Daniel Koch ha detto: «I bambini possono incontrarsi a giocare». È qualcosa che vale anche per il Ticino?“Ho parlato con Daniel Koch direttamente per capire da dove arriva questa informazione, mi ha riferito che ha potuto avere dei dati preliminari di studi in corso in Svizzera dai quali emergerebbe che i bambini non solo fanno un decorso meno grave, ma praticamente non si ammalano e quindi non trasmetterebbero la malattia. Questi però sono dati preliminari e non dati scientifici pubblicati, noi dobbiamo basarci su quella che è l’evidenza che abbiamo in mano attualmente e dobbiamo basarci anche sul principio di prudenza. Finché non ci sono dei dati solidi, definitivi e scientificamente provati che i bambini non sono causa di trasmissione io direi di mantenere il principio della prudenza. Evitare gli assembramenti anche di bambini. E, soprattutto, visto che è la domanda che segue: i bambini possono abbracciare i nonni? No! Non siamo in questo momento in grado di dire che questo possa essere fatto in sicurezza. Se e quando sarà il caso, sarà mio piacere dirlo alla popolazione: potete tornare ad abbracciarvi senza problemi”.

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