Ticino
“Hanno cambiato tattica, ma restano talebani”
Hamid Mir/Wikimedia Commons
Hamid Mir/Wikimedia Commons
Andrea Leoni
3 anni fa
Il 19 settembre il giornalista pakistano Hamid Mir sarà ospite del Festival Endorfine di Lugano: lo abbiamo intervistato in anteprima

Hamid Mir è un gigante del giornalismo internazionale. Pakistano, 55 anni all’anagrafe ma chissà quante vite reali, per un’esistenza professionale vissuta pericolosamente con una sola stella polare ad orientare la bussola: la libertà di stampa. Del resto, in un editoriale pubblicato di recente su India Today, ha scritto: “Il rischio è la bellezza del giornalismo. A volte, rischiamo la nostra vita esponendo la verità; e a volte, rischiamo la nostra credibilità professionale per rivelare grandi storie”.

Il curriculum di Hamid Mir fa impressione. Anchorman della tv pakistana Geo TV, autore di numerosi libri e columnist di diversi giornali a diffusione globale come il già citato India Today o il Washington Post, tanto per dire. Il suo profilo twitter ha 6,5 milioni di follower. Nella sua carriera ha intervistato i grandi della Terra: da Nelson Mandela a Hillary Clinton, passando per Tony Blair. Nel 2009, in una sperduta regione del Pakistan, ha scoperto Malala Yousafzai che nel 2014 vincerà il Premio Nobel per la Pace.

Per la sua attività giornalistica ha subito due attentati da parte dei talebani. Prima con un’autobomba nel 2012, poi con un attacco armato nel 2014, dove il giornalista è stato colpito da sei proiettili, due dei quali li porta ancor in corpo. Attentati alla sua vita e ripetuti attacchi alla sua attività professionale, con una lista di censure, anche recenti, lunga quasi come il suo curriculum.

Ma questa costante battaglia, oltre a valergli un posto nella giuria internazionale del premio Unesco per la libertà di stampa, non lo ha mai scoraggiato. Ancora di recente ha scritto: “Il Pakistan ha bisogno di media forti e liberi per combattere la crescente minaccia dell’estremismo”. E anche ai talebani ha consigliato “il vaccino dei media liberi” come arma per combattere la disinformazione e per accreditarsi a livello internazionale.

Nella sua carriera Hamid Mir ha incontrato il Mullah Omar, leader indiscusso della prima generazione dei talebani, e ha intervistato per tre volte Osama Bin Laden, l’ultima volta due mesi dopo l’11 settembre, nei pressi di Kabul.

Il 19 settembre il pubblico ticinese avrà l’eccezionale occasione di ascoltare dal vivo questo vero e proprio testimone della storia. Hamid Mir sarà infatti a Lugano ospite del Festival Endorfine di Lugano dove terrà una conferenza per il ventennale dell’11 settembre, oltre a raccontare della sua vita e della scottante attualità in Afghanistan. La prevendita dell’incontro è attiva su biglietteria.ch.

Ma in attesa di poterlo incontrare di persona, ticinonews.ch ha potuto porre qualche domanda al giornalista su quanto sta accadendo in questi giorni in Afghanistan. Ne è venuta fuori un’intervista ricca di spunti e che, soprattutto, ci fornisce un punto di vista della situazione con uno sguardo non occidentale, estremamente competente, in cui vengono messi in discussione alcuni dei luoghi comuni che più spesso abbiamo sentito in questi giorni.

Hamid, cominciamo dalla più stretta attualità. Come leggi l’attentato all’aeroporto di Kabul e come credi che questo evento drammatico possa cambiare gli scenari?
“È stato un vero peccato che le forze USA e NATO fossero a conoscenza del possibile attacco all’aeroporto di Kabul, ma che ciò nonostante non siano riuscite a fermarlo. USA e NATO erano responsabili della sicurezza interna dell’aeroporto. I talebani proteggevano l’esterno. Principalmente era responsabilità dei talebani fermare l’attacco, ma hanno fallito a causa di una grande presenza di persone fuori dallo scalo. Per la prima volta soldati statunitensi e militanti talebani sono stati un obbiettivo comune, ed entrambi hanno perso la vita nello stesso attacco. Penso che i talebani siano stati gli unici a dare l’impressione di saper resistere all’Isis in Afghanistan. Per questo hanno raccolto il sostegno di Russia e dell’Iran. E ora stanno cercando quello della Cina, della Nato e degli Stati Uniti. È un’opportunità d’oro per i talebani per coinvolgere il mondo creando un ampio governo di unità nazionale in Afghanistan che includa donne e non musulmani. Solo un governo di unità nazionale può dare stabilità all’Afghanistan”.

Ci puoi fornire un quadro dei rapporti tra talebani ed Isis?
“Talebani e ISIS sono nemici. Combattono l’uno contro l’altro da molti anni. Entrambi credono nel sistema del califfato islamico ma tra loro c’è una differenza. Mentre i talebani affermano che il loro capo è il capo supremo dei musulmani. L’ISIS, invece, afferma che il loro capo, è il capo supremo di tutti. L’ISIS era contrario ai colloqui con gli Stati Uniti. Molti combattenti talebani si sono uniti all’ISIS dopo che i talebani hanno iniziato i colloqui con gli USA in Qatar. In confronto, i talebani sono facili da coinvolgere, mentre l’ISIS è difficile perché nessuno sa chi li controlli effettivamente. I talebani sono dominati dai pashtun e la loro ideologia è un misto di Islam e sistema tribale afghano. L’ISIS è dominato da arabi intransigenti. La maggior parte degli estremisti dell’ISIS sono ben istruiti e penso che siano più pericolosi dei talebani. L’ex presidente afghano Hamid Karzai ha sempre affermato che l’ISIS è un ‘emanazione dell’intelligence statunitense e che le forze statunitensi lo stavano usando segretamente contro i talebani, ma l’attacco di Kabul ha dimostrato che Karzai si sbagliava.

Qual è il tuo giudizio sul ritiro degli Stati Uniti dall’Afganistan e del processo che ha innescato?
“Penso che gli Stati Uniti abbiano deciso di ritirare le proprie forze dall’Afghanistan secondo l’accordo di Doha. Hanno cercato di attuare l’accordo ma i talebani sono entrati a Kabul in violazione del patti. I talebani affermano di averlo fatto perché il presidente Asharaf Ghani è scappato dall’Afghanistan e c’era il caos a Kabul. Ora gli Stati Uniti stanno cercando di coinvolgere i talebani. Gli USA sono impegnati a fare una politica di controllo dei danni. Gli Stati Uniti non vogliono un’alleanza tra Russia, Cina, Iran e talebani. L’impegno con i talebani è una buona cosa perché gli Stati Uniti devono contenere Al Qaeda in Afghanistan ed è possibile farlo solo con la collaborazione dei talebani”.

In molti si chiedono come abbiano fatto i talebani a resistere 20 anni a un’occupazione militare da parte di Stati Uniti e Nato. E ci si interroga anche sul consenso di cui godano nella popolazione afgana. Cosa puoi dirci in merito?
“I talebani sono per lo più pashtun, che sono la maggioranza in Afghanistan. Hanno leader tagiki, uzbeki e hazari tra i loro ranghi. Sono sopravvissuti in Afghanistan a causa degli errori grossolani degli Stati Uniti. Ricordo che il presidente degli Stati Uniti George W. Bush ha usato l’espressione “Crociata” quando ha attaccato i talebani e Al Qaeda nel 2001. Questa frase ha aiutato i talebani. Hanno dato un colore religioso alla loro militanza. Molti afghani nelle aree rurali li consideravano i combattenti per la libertà che resistevano agli invasori stranieri. Poi gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq nel 2003. Poi hanno vinto in Libia. Un leader eletto democraticamente come Muhammad Morsi non è stato autorizzato a completare il suo mandato in Egitto, inoltre gli americani hanno sopportato una dittatura militare in Egitto. Tutto questo ha aiutato i talebani e la loro ideologia. Ora gli Stati Uniti parlano di democrazia e i talebani ridono. Dicono: “C’è una democrazia in Arabia Saudita?”. Se puoi sostenere i sauditi senza democrazia, perché vuoi la democrazia in Afghanistan? Personalmente sostengo la democrazia in Afghanistan ma non dettata da stranieri”.

Quali sono le principali differenze tra la generazione dei talebani del Mullah Omar e la nuova generazione che ha riconquistato l’Afghanistan? La domanda più ricorrente in questi giorni in Occidente è: bisogna avere oppure no rapporti con il nuovo governo di Kabul?
“I talebani sono talebani. Non ci sono talebani buoni o talebani cattivi. Non ci sono nuovi o vecchi talebani. L’attuale leadership dei talebani è ancora fedele all’ideologia del mullah Omar. Hanno solo cambiato tattica. Hanno imparato l’arte della diplomazia e della propaganda. Hanno iniziato i colloqui con gli Stati Uniti con l’approvazione del Mullah Omar e hanno fatto del loro meglio per non perdere la battaglia al tavolo delle trattative. La loro grande prova sarà però sulla questione della democrazia. Vogliono fare una nuova costituzione. Alcune persone considerano i talebani un’emanazione del Pakistan. Penso che i talebani cercheranno di dissipare questa impressione. Cercheranno di mantenere buoni rapporti non solo con il Pakistan ma anche con l’India. Una generazione di talebani ha sconfitto l’ex Unione Sovietica, un’altra generazione di talebani sostiene di aver sconfitto gli USA. Coloro che hanno sconfitto i sovietici sono diventati amici della Russia. Se i russi sono diventati amici dei talebani, perché non possono farlo gli americani? Ma tutto dipende dai talebani. Se non hanno un’agenda internazionale come l’ISIS, devono coinvolgere positivamente tutti i paesi della regione, inclusi Stati Uniti e NATO. Altrimenti c’è il timore che un nuovo grande gioco possa portare i talebani tra le braccia di Russia, Cina e Iran”.

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