
Piovono interrogazioni sulla vicenda BSI, dopo che la FINMA ha decretato il suo scioglimento a seguito dello scandalo malese. L'ultima in ordine di tempo inoltrata al Governo è quella di due deputati leghisti, Boris Bignasca e Paolo Sanvido, al cui centro vi è l'ex Ceo della banca Alfredo Gysi.
"Il banchiere Alfredo Gysi, noto per aver spostato il domicilio fiscale dal Ticino a Londra "per motivi culturali", è stato a capo di BSi per diversi anni" scrivono i due leghisti. "Gli stessi anni nei quali si è consumato lo "scandalo malese" cha ha portato alle dure prese di posizione della FINMA, alle inchieste del MPC e che stanno compromettendo la stessa esistenza della banca".
"Il Financial Times" proseguono i due deputati, "a inizio 2016 ha inoltre pubblicato una lettera scritta da Alfredo Gysi, Presidente BSI, al suo rappresentante a Singapore che aveva concluso l'affare malese complimentandosi personalmente per l'importante contributo che egli aveva dato, non solo alla crescita di BSI in Asia, ma a tutto il gruppo. Questo solo per sottolineare e confermare che il signor Gysi era perfettamente a conoscenza della questione".
"La stampa confederata" aggiungono, "non ha lesinato aspre critiche al signor Gysi sottolineando che ha rappresentato il Ticino in diversi connessi tra cui la Banca Nazionale Svizzera. Carica che ha lasciato a fine aprile.
"Ora il banchiere Alfredo Gysi" concludono Bignasca e Sanvido, "che in tanti anni di attività ha intrattenuto rapporti di carattere "culturale" con il potere politico rappresentato in particolare dal Plr - basti pensare che il suo braccio destro in seno alla banca Stefano Coduri è stato consigliere comunale per il Plr - continua a sedere in organi di rappresentanza pubblica come la Fondazione Lugano Musica e l'Università della Svizzera italiana. Senza dimenticare tanti altri consessi in cui Gysi è accompagnato dal gota politico cantonale".
Alla luce di questi fatti, Bignasca e Sanvido chiedono al Consiglio di Stato se non ritiene opportuno invitare il signor Gysi a dimissionare dalle cariche in seno agli organi pubblici e parapubblici, al fine di salvaguardare l'immagine delle istituzioni.
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