
La domenica di voto ha segnato una duplice bocciatura: l’iniziativa della Gioventù socialista per tassare al 50% le eredità oltre i 50 milioni e quella per introdurre un servizio civico obbligatorio per tutti. I risultati sono stati netti, ma per ragioni differenti. Se la Giso ha subìto una «disfatta storica», come osservano entrambi gli editorialisti, il servizio civico ha raccolto un no ancora più massiccio per via dell’opposizione trasversale lungo l’intero arco politico. Le analisi di Giovanni Galli (Corriere del Ticino) e Stefano Guerra (laRegione) nei loro editoriali offrono due prospettive complementari sul significato politico di questi verdetti.
Galli: «Una disfatta storica»
Galli nel suo editoriale sul Corriere del Ticino definisce l’esito sull’iniziativa Giso una «disfatta storica», sottolineando che «quattro votanti su cinque» hanno rifiutato una proposta percepita come «avventura all’insegna della lotta di classe». L’autore evidenzia il rischio – centrale negli argomenti dei contrari – che un sì avrebbe spinto molti contribuenti facoltosi a lasciare il Paese, con un conseguente «indebolimento del substrato fiscale» e maggiori oneri per il ceto medio. Critica anche la reazione della Giso, accusata di aver parlato di «campagna di diffamazione senza precedenti» senza alcuna autocritica. Riguardo al servizio civico, Galli osserva che il no è stato «ancora più massiccio», ma per motivi opposti: quasi tutto l’arco politico era contrario. L’idea era «interessante», ma si scontrava con «obiezioni di principio, controindicazioni pratiche e problemi di attuazione». In un contesto globale delicato, secondo l’editorialista, non è il momento di «disperdere energie» ma di fissare priorità.
Guerra: «Idee buone, ma necessitano di tempo»
Guerra, sulle pagine della Regione, si concentra sull’iniziativa fiscale, riconoscendo alla Giso il merito di portare alla luce temi ignorati: «le buone idee hanno bisogno di tempo». Ma il verdetto «senza appello» nasce soprattutto da due argomenti killer: la minaccia di fuga dei super-ricchi e la «distruzione delle imprese familiari». Ricorda inoltre i toni aspri della campagna, con accuse di «diffamazione» e la questione climatica rimasta «quasi sempre sotto traccia». Per Guerra il voto è un «segnale molto chiaro» in favore della piazza economica, ma il dibattito su clima e disuguaglianze «non è affatto chiuso».
